Recupero

Guarire dalla malattia mentale si può? Come si può 'guarire' da se stessi?

Ma la malattia mentale esiste? Si può definire malattia un carattere, una diversa attitudine, un'emozione intensa? Purtroppo secondo la psichiatria organicista, la malattia mentale esiste ed è inguaribile, tuttavia curabile necessariamente con i farmaci, anche se non è mai stato dimostrato alcuno squilibrio chimico alla fonte né che gli psicofarmaci curino qualcosa. Numerose esperienze di 'sopravvissuti' e indagini indipendenti dimostrano invece l'esistenza di una 'trappola farmacologica' molto subdola che, lungi dal 'guarire', favorisce il mantenimento o la cronicizzazione della supposta malattia.
Questo spazio vuole dare la possibilità ai cosiddetti malati mentali di conoscere le reali implicazioni dei farmaci , di cui spesso ne abusano, di riflettere sulla propria condizione, di acquisire nuove conoscenze diventando capaci di riprendersi il controllo della propria vita e delle proprie emozioni.
Si potrà 'guarire' soltanto quando ci allontaneremo dal nostro punto di vista limitato per abbracciare il problema nella sua globalità, con un approccio di tipo olistico.

Attenzione: È potenzialmente pericoloso dismettere psicofarmaci senza un'attenta pianificazione. È importante essere bene istruiti prima di intraprendere qualsiasi tipo di interruzione di farmaci. Se il vostro psichiatra accetta di aiutarvi a farlo, non date per scontato che sappia come farlo al meglio, anche se dice di avere esperienza. Gli psichiatri non sono generalmente addestrati sulla sospensione e non possono sapere come riconoscere i problemi di astinenza. Numerosi problemi di astinenza sono mal diagnosticati come problemi psichiatrici. Questo è il motivo per cui è bene educare se stessi e trovare un medico che sia disposto ad imparare con voi. In realtà tutti i medici dovrebbero essere sempre disposti a fare questo ai loro pazienti che lo desiderano.

sabato 30 novembre 2013

Lavoro e disabilità



Chaya Grossberg ha scritto nel suo blog su M.I.A. un articolo molto interessante sulla disabilità. Come me, anche  lei si chiede il significato di 'abile' o disabile nella società odierna, relativamente alla cultura occidentale naturalmente e alle cosiddette nazioni evolute. 

Quando Chaya era al college, subì una massiccia psichiatrizzazione per alcuni suoi problemi di tipo mentale da cui seguì l'inserimento nel sistema di sussidio statale americano per ben 700 dollari al mese: da notare che qui in italia la pensione di invalidità corrispondente ammonta a 270 euro circa, appena sufficienti per chi fuma a coprire le spese delle sigarette, come ho già avuto occasione di dire in precedenza. Tuttavia Chaya dice che proprio perché era sotto massiccia medicalizzazione, la sua disabilità era la diretta conseguenza degli effetti dei farmaci. Disabilità che se ne andò allorquando decise di smettere di rovinarsi la salute fisica e la vita, scegliendo un approccio olistico per i suoi problemi mentali e scalando pian piano tutti i farmaci fino ad azzerarli del tutto. 
Nonostante ciò ella parla di alcune disabilità che le sono rimaste: non sopporta ad esempio stare in un luogo rumoroso, fumoso, oppure dentro un ufficio per 8 ore al giorno. Preferisce pianificare lei stessa le sue giornate piuttosto che dover seguire un copione imposto, rigido e ripetitivo. Necessita di flessibilità e cerca di ridurre al minimo lo stress. 
Ma questi in realtà sarebbero requisiti adatti a tutti, indipendentemente da avere una diagnosi psichiatrica o l'invalidità. 

Purtroppo, la  maggioranza di chi ha un lavoro fisso, anziché ringraziare il cielo per questo enorme privilegio, lo detesta e è costretta a vivere per la maggior parte del suo tempo in sofferenza , stressati e con la testa altrove.
Per una quindicina di anni in passato ho lavorato come sottoposto, e benché quel lavoro all'inizio mi piacesse con l'andare del tempo era diventato una routine alienante: non riuscivo più a sopportare il fiato sul collo, gli orari fissi, le terribili levate invernali col gelo , la macchina che non parte, la 'domenichite' (sindrome di inizio settimana imminente) , la costrizione eccetera. Soprattutto non sopportavo l'idea che continuando così non avrei più imparato nulla di nuovo che mi poteva interessare, né vi era alcuna possibilità di ulteriore carriera all'interno di quell'azienda. Fu così che un lontano Dicembre maturai l'idea di cambiare drasticamente, di diventare il datore di lavoro di me stesso. Feci dei miei hobbies di allora un lavoro, catapultandomi nel regno nascente della rete e del web. Prima come un collaboratore di una web agency appena avviata, poi come libero professionista autonomo per oltre 18 anni a venire. 

Purtroppo non ho mai avuto un particolare attaccamento per il denaro. Il mio tariffario è sempre stato lo stesso in 15 anni, non ho il vizio di gonfiare i preventivi o di farmi pagare ogni respiro che faccio come spesso si vede fare in questo campo. Non ho mai dedicato più di tanto tempo al lavoro (metà giornata in media) tele da non impedirmi di fare le cose che più mi piacevano. Se poi ci aggiungiamo la crisi generale e le mie crisi personali, improntate al desiderio di fare sempre qualcosa che creasse veramente valore, anziché andare avanti per inerzia senza soddisfazione alcuna, si arriva ad oggi che ho dovuto chiudere la partita iva per impossibilità di pagare gli esosi balzelli che tocca sborsare a noi italiani, quando decidiamo di registrare tutte le nostre entrate. 

Sono arrivato così a prendere una decisione molto sofferta che il mio orgoglio di una volta non avrebbe sopportato: chiedere l'invalidità e usufruire così della legge 68/99 per accedere al mondo del lavoro dipendente nelle cosiddette categorie protette. L'ho fatto, mi hanno dato una percentuale di disabilità, tale da non consentirmi la misera pensione, dunque lo stato non mi ridarà indietro niente dei miei esigui versamenti ventennali. 

Adesso sto vagliando le offerte che via via escono  relativamente alle mie competenze specifiche, tuttavia non mi sono gettato a capofitto nella ricerca ossessiva di una occupazione, pur avendone estremo bisogno. 
Questo perché ho ben presente come ci si sente ad essere sottoposto a fare qualcosa di malavoglia con tutto lo stress a contorno. Mi sentirei come chi ha perso la sua battaglia della vita, con l'orgoglio a pezzi per non essere riuscito a risollevarmi da questa crisi e mettere in moto tutto il mio ingegno e le mie conoscenze che si sono accumulate negli anni. Il mio sogno è un lavoro che implica mettersi al servizio degli altri,  fare qualcosa di veramente gratificante e appagante, non soltanto dal punto di vista economico.  Se fossi stato veramente avido di denaro avrei usato un modo di lavorare diverso, impegnandomi a capo fitto 24 ore su 24 spremendomi le meningi per trovare il modo migliore per ingannare le persone o vendermi come una prostituta gonfiando a dismisura le mie qualità. In effetti quando sento parlare della mia concorrenza che guadagna 100 per lo stesso impegno e risultato con cui io guadagno 30 mi viene da pensare: o sono io troppo ingenuo oppure loro troppo esosi. 
A causa della crisi, sono quindi arrivato a considerare di ridurre al minimo tutte le mie uscite. Ho bloccato il finanziamento alla ex moglie per il mantenimento del figlio ormai grande ed ho pure smesso di fumare ormai da oltre un anno, ma non tanto per motivi economici quanto per la mia salute che ne ha tratto indubbio giovamento. 

Tornando al discorso disabilità, bisogna vedere cosa si intende nel mio caso. Non è una disabilità fisica evidente, come per esempio una persona cieca, a cui certe mansioni sono per ovvie ragioni totalmente precluse. Io potenzialmente sono in grado di fare qualunque lavoro senza problemi. Allora quali sarebbero i miei limiti? Ironia della sorte, i miei limiti sono quelli di un lavoro dipendente, cioè essere costretto a fare certe cose piuttosto che averle pianificate io stesso, impormi orari, stress, fiato sul collo e soprattutto lo stigma implicito per chi in un dato  ambiente ha qualcosa in meno rispetto agli altri, un handicap anche se invisibile. 
In sostanza, la certificazione di disabilità non mi aiuta affatto e soprattutto il mio orgoglio mi impedisce di considerare le offerte che vedo e le esperienze di altri nella mia situazione non sono affatto incoraggianti. Le aziende che sono costrette ad assumere disabili secondo la legge (una persona ogni 15 dipendenti) preferiscono disabili fisici piuttosto che psichici anche se queste, di regola non dovrebbero venire a conoscenza del tipo di disabilità della persona assunta. 

Finché ho la possibilità di avere un tetto sopra la testa e un vitto non mi faccio grosse paranoie, perciò non vado assiduamente a spargere i miei curriculum a destra e manca, nell'affannosa ricerca di un miraggio a tempo indeterminato. Conosco bene chi si è ammalato di nervi  a causa  tutto questo stress. Ed è una cosa vergognosa che una repubblica costituzionalmente fondata sul lavoro non dia nessun aiuto di tipo professionale a quelle persone che fra l'altro risultano essere le più creative , di indubbio talento, quali spesso sono le persone psichiatrizzate. Una marea di talenti che vengono soppressi e messi a tacere da una valanga di trattamenti medici da prescrizione. Per poi finire la loro misere vite prematuramente magari dentro una comunità protetta a fare lavoretti da bambini idioti, perché ridotti cognitivamente come  zombie, semplici automi incapaci di organizzare alcunché di minimamente complesso.

Un mio amico, psichiatrizzato, percepisce la pensione di invalidità, perché impossibilitato a mantenere un lavoro a causa degli effetti di un  farmaco di tipo depot che prende una volta al mese e che costa allo stato il  doppio dell'assegno di invalidità!

Abram Hoffer, grande psichiatra ortomolecolare ha curato in 60 anni di attività circa 5000 pazienti diagnosticati secondo la psichiatria 'schizofrenici', con una percentuale di 'recupero' del 90 %.  
Il suo criterio per definire 'recovery', ovvero persona completamente recuperata, non era come adesso un paziente conforme, assoggettato e sedato costantemente da pesanti neurolettici, disabilitato dal poter svolgere un qualunque compito che richiede un minimo di ingegno. Ma piuttosto una persona con un lavoro stabile, delle responsabilità e quindi in grado di pagarsi le tasse. Pagare le tasse su reddito da lavoro era in pratica il criterio principale per considerare una paziente 'recuperato' secondo Abram Hoffer. 

Ci stiamo impegnando nella repressione e nella negazione dell'individualità su scala di massa.
Stiamo andando verso un mondo sempre più livellato, dove le persone di talento sono messe ai margini, perché troppo sensibili e refrattarie ad una società  fondata sul Dio denaro e la ragione del più forte. 
Eppure, alcuni tipi di professioni richiedono inventiva, creatività e spirito di iniziativa, doti che spesso appartengono alle presone particolarmente sensibili ma anche ahimè a quelle più difficili da trattare e che male sopportano un'attività di routine che richiede un impegno costante. E' come pretendere che un artista sia sempre prolifico durante tutta la sua carriera, come ad esempio un cantante oppure un compositore o un pittore. E' umano avere dei periodi morti, più o meno lunghi , periodi di riflessione, di introspezione, apparentemente di crisi ma in realtà che possono diventare preziosi passaggi verso una successiva evoluzione. La società attuale del lavoro non ammette questo tipo di inattività se non a causa di malattia, ed in effetti molte professioni sono talmente alienanti e automatiche che dopo qualche anno vanno avanti da sole, senza richiedere alcun impegno particolare. 

Si pensi ad esempio come poteva essere la professione di psichiatra 50 anni fa rispetto a quella di oggi: che impegno e doti particolari servono oggi per giocare ai piccoli chimici sulla pelle degli altri? Da medici dell'anima quali erano sono diventati banali prescrittori di farmaci e dispensatori di diagnosi secondo un copione standardizzato; la conformità alle loro 'cure' è la prima cosa che ti chiedono e che esigono. I professionisti della salute mentale oggi imparano sempre meno sulla vita, e sempre più sulla manipolazione artificiosa dell'umore tramite sostanze chimiche.
E pensare che esistono anche in questo campo dei professionisti bravi e onesti (pochi mi sa) medici che hanno a cuore la sorte dei loro assistiti piuttosto che il portafogli e che tengono in considerazione  il motto "Primo non nuocere". 

Dunque,  quale dovrebbe essere allora il tipo di lavoro ideale per una persona con una diagnosi psichiatrica ma che tuttavia è comunque in grado di lavorare perché non è troppo compromessa a livello cognitivo dai farmaci? Io penso che dovrebbe essere un lavoro creativo , non alienante, preferibilmente autonomo. Come un artista per esempio. Purtroppo è un tipo di lavoro che non garantisce una continuità per definizione, perciò si dovrebbero escogitare sistemi di lavoro differenti da quelli conosciuti ma come? 
Un suggerimento ci può arrivare dall'antica saggezza del popolo delle isole del pacifico:  

Del lavoro del Papalagi e di come egli in esso si smarrisce

OGNI PAPALAGI ha un lavoro. E' molto difficile spiegare che cosa sia un lavoro. E' qualcosa che si dovrebbe avere voglia di fare, ma il più delle volte non se ne ha. Avere un lavoro vuol dire fare sempre, ogni giorno, la stessa cosa. Farla così spesso da poterla fare a occhi chiusi e senza alcuno sforzo. Se io con le mie mani non faccio altro che costruire capanne o intrecciare stuoie, costruire capanne o intrecciare stuoie diventa il mio lavoro....Ogni uomo bianco quindi può e deve avere un lavoro. Per questa ragione ogni Papalagi, molto prima che venga il momento di farsi tatuare, deve decidere quale lavoro vuole fare per tutta la vita. Questo lo chiamano: scegliere una professione....E per questo negli uomini cova un odio cocente per il proprio lavoro. Tutti hanno nel cuore una qualche cosa, come un animale che è tenuto alla catena e si ribella e vuol liberarsi e non vi riesce. E tutti confrontano i loro lavori gli uni con gli altri, e sono pieni di invidia e di malcontento, e si parla di lavori più elevati e più bassi, sebbene tutti i lavori siano soltanto un fare a metà: Perché l'uomo non è soltanto mano o piede o soltanto testa; tutto in lui è unito. Mano, piede, testa vogliono stare insieme. Quando tutte le membra e i sensi lavorano insieme, solo allora il cuore dell'uomo vive...Ma il Papalagi non ci ha portato mai la verità né la spiegazione del perché noi dovremmo lavorare più di quanto Dio può chiederci di fare per saziare la fame, avere un tetto sopra la testa e trovare gioia e piacere alla festa sulla piazza del villaggio. Piccolo può sembrare questo lavoro, e la nostra esistenza può apparire povera di lavori. Ma colui che è uomo giusto e fratello delle molte isole fa con gioia il suo lavoro, mai con sofferenza. Piuttosto non lo fa. E questo è ciò che ci distingue dai bianchi. Il Papalagi sospira quando parla del suo lavoro, come se fosse oppresso da un peso. I giovani delle Samoa vanno cantando nel campo di taro; cantando le giovani donne lavano i panni nei ruscelli. Il Grande Spirito non vuole certamente che diventiamo grigi nel nostro lavoro e strisciamo come lumache nella laguna. Egli vuole che restiamo ben ritti e fieri in tutto il nostro fare, e sempre uomini con occhi lieti e membra sciolte.

Una possibile soluzione quindi, fondare delle comunità magari autosufficienti, dove si lavori giusto quello che serve per sopravvivere. Forse esistono eco-villaggi o comunità similmente organizzate, oppure una micro comunità impostata economicamente in modo diverso, per esempio sullo scambio di prestazioni e di beni anziché sul denaro. 
Mi chiedo se esistono simili comunità, dove veramente si vive bene senza costrizione o stress di sorta. Ma mi chiedo anche quanto siamo disposti a privarci del nostro esoso modo di vivere, individualista, pieno di costosi optionals in gran parte inutili.  


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