Definizione di Fallacia Aneddotica:
Significa usare un’esperienza personale o degli esempi isolati invece di argomenti robusti o evidenze schiaccianti.
E’ spesso molto più facile per la gente credere alle testimonianze di qualcuno piuttosto che comprendere dati complessi e/o cambiamenti su variabili continue. Le misure scientifiche quantitative sono nella quasi totalità dei casi più accurate delle percezioni personali e delle esperienze, ma noi tendiamo a credere a ciò che è tangibile come la parola di qualcuno, piuttosto che una realtà statistica più “astratta”.
Ad Esempio: Mio zio fumava oltre 30 sigarette al giorno ed è campato bene fino a 97 anni, per cui non c’è da credere a tutto quello che si legge sulle meta-analisi di studi metodologicamente corretti che dimostrano schiaccianti relazioni causali tra fumo e cancro ai polmoni.
Prova aneddotica contro statistica per gli amanti degli psicofarmaci.
Riflessioni su un articolo di Corinna West pubblicato su madinamerica.com il 20 Giugno 2017.
Come ho avuto modo di scrivere altre volte, io non sono a priori contro tutti i farmaci per partito preso e in modo indiscriminato. Certo che per il mio 'benessere' cerco di starne alla larga il più possibile, e pure non li consiglio ad altri, tuttavia non ho nulla in contrario per chi decide di farne uso in modo consapevole e viene correttamente informato. Sono come si suol dire 'pro scelta informata'.
Mi è capitato spesso in passato, frequentando forum di gruppi di 'psichiatrizzati' solitamente accomunati da una specifica diagnosi psichiatrica, venire attaccato per le mie critiche agli psicofarmaci, all'uso indiscriminato che se ne fa e sopratutto alla loro somministrazione forzata, non consensuale.
Una risposta standard a queste mie critiche è quella di venire tacciato di irresponsabilità, considerando che avrei potuto convincere le persone a lasciare i loro farmaci per cadere subito in una crisi pericolosa con rischio di suicidio.
Esistono un sacco di persone che non vogliono sentire critiche sui loro 'amati' psicofarmaci, perché essenzialmente sentono che in qualche modo sono utili, anche se in realtà a guardare meglio spesso stanno messi peggio di prima con la loro salute.
Ebbene, queste persone non capiscono la differenza tra dati statistici e aneddotici, ovvero tra risultati statistico-matematici ed esperienze personali o di altri.
Corinna fa alcuni esempi:
1 . Mi piacciono le mie medicine
Un sacco di gente dice: "Beh, i miei farmaci funzionano per me, ed è un vero miracolo".
A prima vista, questa sembra una storia di successo. In realtà rappresenta l'idea che il farmaco aiuta alcune persone ma non tutti.
Questo perché statisticamente per la stragrande maggioranza delle persone che prendono farmaci , questi non sono più efficaci del placebo nel lungo periodo.
Pertanto i presunti benefici rappresentano solo una piccola parte di un risultato che interessa nella realtà un ristretto numero di persone rispetto alla maggioranza.
La stragrande maggioranza dei dati dimostra che le persone che in realtà beneficiano dei farmaci rappresentano valori statistici 'erratici' cioè fuori norma (come sono fuori norma anche quelli che ne sono stati danneggiati). Siete stati fortunati e sono contento che avete avuto fortuna con i farmaci ma la vostra storia, non è *tutta* la storia.
E per quanto riguarda gli altri, quelli che sono stati danneggiati dai farmaci o che non hanno avuto alcun miglioramento, vale la pena rischiare la loro pelle in nome dei pochi che ne traggono beneficio (ricordiamolo comunque limitato nel tempo)? Le decisioni di pubblica sanità non dovrebbero essere basate soltanto su quei pochi 'fortunati'. E gli utenti che sono casi particolari statisticamente 'fuori range' non dovrebbero permettersi di promuovere il trattamento farmacologico come una soluzione valida per tutti.
2. “I farmaci non mi fanno male ...”
Poi c'è chi dice: "anche se non ho risolto i miei problemi continuo a prendere farmaci perché sento che non mi fanno male".
E' una posizione comoda di chi è ancora sotto l'effetto 'affascinante' degli psicofarmaci. Di questo effetto ho già parlato in un articolo precedente intitolato Anosognosia.
E' abbastanza ovvio, lo capirebbe anche un bambino delle elementari, che assumendo costantemente una sostanza con caratteristiche tossiche, il danno sarà più probabile in relazione al tempo di assunzione. Pertanto anche se alcuni effetti più 'deboli' non vengono percepiti nell'immediato, a lungo andare ci si dovrà aspettare senza ombra di dubbio di avere dei problemi anche gravi.
Ma è solo quando uno smette di assumere psicofarmaci e se ne libera che si accorge di quanto gli impedissero di vivere con la giusta intensità emotiva e nota una grande differenza.
La gente può non accorgersi del danno che gli viene fatto; ho conosciuto alcune persone che hanno avuto problemi gravi che tuttavia mai si sognerebbero di metterli in relazione ai veleni che hanno assunto e stanno ancora assumendo, anche se vi è un'evidenza lampante.
Corinna scrive:
"È possibile invitare le persone a lavorare sulla riduzione dei farmaci i cui effetti collaterali causano la maggior parte dei problemi, con un ritmo estremamente lento secondo delle buone pratiche (come quelle descritte in un mio articolo dedicato ndt). La maggior parte delle persone riesce a trovare una “dose minima efficace.” Una volta che conoscono la differenza tra la sindrome da astinenza da farmaci e il ritorno della “malattia”, molti trovano che l'effetto maggiore del farmaco assunto è semplicemente il sollievo dai sintomi di astinenza".
Tornando alla fallacia: si può essere nei punti più bassi del grafico statistico, quelli più sfigati e non nei punti fortunati senza nemmeno saperlo. E poi, sempre statisticamente c'è la questione delle persone che sotto cure psichiatriche muoiono 25 anni prima della media...
3. Il suicidio
Alcune persone dicono: "I farmaci mi hanno salvato la vita, senza di loro sarei morto/a da tempo ecc."
La risposta è che complessivamente, i farmaci non impediscono il suicidio a lungo termine, anzi osservando i dati statistici si può dimostrare che in effetti alcuni psicofarmaci aumentano i rischi di suicidio.
Anche in questo caso, solo per alcuni 'fortunati' si può ritenere che il suicidio è stato evitato, ma per tutti gli altri il rischio è aumentato!
In America si usa mettere avvisi sulle scatole di medicinali come qui da noi sui pacchetti di sigarette. In alcuni psicofarmaci sono stati costretti a mettere un avvertimento del genere per rischio suicidio nei giovani. Questo perché i dati complessivi statistici indicavano un aumento di tale rischio.
Quindi la prossima volta che mi metteranno in guardia dal dare certi consigli 'pericolosi' riguardo ai farmaci psichiatrici risponderò col mettere in guardia a mia volta chi mi risponde che con il suo consigliare farmaci induce le persone ad un rischio aumentato di suicidio, statisticamente provato!
4. Le diagnosi aiutano le persone
Spesso sento le persone, specialmente quelle diagnosticate da poco, dire che si sentono sollevate, finalmente sanno che cosa hanno: una malattia perciò non sono 'pazze'. Ignorando che tale sentenza sarà fonte di infiniti guai.
Corinna dice che se una diagnosi fosse effettivamente un'entità medica valida, potrebbe allora essere utile. Ma in realtà a fronte un limitato sollievo a breve termine, la diagnosi psichiatrica comporta stigma, impotenza e disabilitazione per tutta la vita. Solo adesso si sta cominciando a fare più ricerca sul danno delle diagnosi psichiatriche (per approfondimenti si veda il mio articolo in merito).
5. Dovresti sostenere le mie scelte
Quindi se sono pro-scelta dovrei sostenere la tua scelta di assumere veleni anziché criticarti , giusto?
Corinna risponde in questi casi:
E' difficile sostenere una scelta disinformata, basata su presupposti falsi.
Vediamo i dati oggettivi:
I farmaci non funzionano meglio del placebo.
I farmaci danneggiano molte più persone di quelle che aiutano (Soprattutto quando si considera la visione a lungo termine nell'equazione)
I farmaci espongono le persone a gravi rischi di suicidio per Acatisia (grave agitazione e irrequietezza ndt) , atti di violenza indotta e orribili sintomi di astinenza.
Le etichette psichiatriche (diagnosi) connesse ai farmaci aumentano lo stigma e rendono le persone senza speranza.
E' giusto sostenere le persone nelle loro scelte ma prima sarebbe meglio aiutarle a capire che potrebbero essere stati male informati per arrivare a tali scelte.
Questo secondo Corinna è il punto cruciale della questione. Le persone non vogliono sentire cose in contrasto con quello che hanno appreso dai loro medici o meglio, gli è stato da loro inculcato. Non ascolteranno e le contrasteranno sempre almeno finché non arriverà il giorno della 'resa dei conti' quando riusciranno per forza di cose a riconoscere il danno loro inflitto. Allora purtroppo sarà forse troppo tardi per cambiare paradigma.
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