Recupero

Guarire dalla malattia mentale si può? Come si può 'guarire' da se stessi?

Ma la malattia mentale esiste? Si può definire malattia un carattere, una diversa attitudine, un'emozione intensa? Purtroppo secondo la psichiatria organicista, la malattia mentale esiste ed è inguaribile, tuttavia curabile necessariamente con i farmaci, anche se non è mai stato dimostrato alcuno squilibrio chimico alla fonte né che gli psicofarmaci curino qualcosa. Numerose esperienze di 'sopravvissuti' e indagini indipendenti dimostrano invece l'esistenza di una 'trappola farmacologica' molto subdola che, lungi dal 'guarire', favorisce il mantenimento o la cronicizzazione della supposta malattia.
Questo spazio vuole dare la possibilità ai cosiddetti malati mentali di conoscere le reali implicazioni dei farmaci , di cui spesso ne abusano, di riflettere sulla propria condizione, di acquisire nuove conoscenze diventando capaci di riprendersi il controllo della propria vita e delle proprie emozioni.
Si potrà 'guarire' soltanto quando ci allontaneremo dal nostro punto di vista limitato per abbracciare il problema nella sua globalità, con un approccio di tipo olistico.

Attenzione: È potenzialmente pericoloso dismettere psicofarmaci senza un'attenta pianificazione. È importante essere bene istruiti prima di intraprendere qualsiasi tipo di interruzione di farmaci. Se il vostro psichiatra accetta di aiutarvi a farlo, non date per scontato che sappia come farlo al meglio, anche se dice di avere esperienza. Gli psichiatri non sono generalmente addestrati sulla sospensione e non possono sapere come riconoscere i problemi di astinenza. Numerosi problemi di astinenza sono mal diagnosticati come problemi psichiatrici. Questo è il motivo per cui è bene educare se stessi e trovare un medico che sia disposto ad imparare con voi. In realtà tutti i medici dovrebbero essere sempre disposti a fare questo ai loro pazienti che lo desiderano.

giovedì 26 febbraio 2015

C'era una volta l'esaurimento nervoso

Quando ero piccolo ricordo che in famiglia a volte si parlava di qualcuno, un parente un conoscente, che aveva attraversato un problema allora per me misterioso, si diceva: "eh, tizio/tizia ha avuto un esaurimento nervoso". Se ne parlava come di qualcosa di ben poco definito, comunque un problema di non poco conto, piuttosto grave ma che avrebbe avuto un esito generalmente positivo per il malcapitato.

Ricordo anche reazioni eccessive a normali fatti della vita di persone a me vicine che potrei definire crisi di nervi ed esaurimento nervoso. 
Una crisi di nervi può essere improvvisa, un'esplosione che solitamente si placa dopo poco tempo. Un esaurimento nervoso invece ha più le caratteristiche della depressione, dura un po più di tempo , anche dei mesi e può richiedere l'abbandono temporaneo della propria attività fino anche al ricovero in ospedale o in una clinica. 

Tuttavia, anche se i termini di per sè non sono molto esplicativi, come fanno i nervi ad esaurirsi è difficile da immaginare, si pensa forse con più facilità ad una stanchezza fisica piuttosto che nervosa. Questo modo di intendere i problemi mentali è completamente caduto in disuso. Anche se forse a volte si sente parlare di 'esaurimento nervoso' riferito a qualche celebrità in preda ad un problema di tipo mentale, questa terminologia è praticamente ignorata in tutti i manuali diagnostici in psichiatria. 

Caratteristica peculiare di esaurimento nervoso o crisi di nervi era la sua transitorietà. Ci si ammalava di nervi come ci si ammala di influenza e una volta superata la febbre o la crisi di nervi si tornava ad essere non malati o 'mentalmente sani'. 
Oggi però questo non succede più.  Quando sentiamo parlare di depressione spesso si intende una malattia cronica e recidivante causata da non meglio precisati squilibri chimici nel cervello.
Oggi le persone sono definite dalle loro patologie, dai loro 'momenti' di difficoltà meno funzionali. Così una persona che ha sperimentato una volta un episodio depressivo maggiore, lo qualifica dal quel momento fino alla morte come uno che ha una malattia chiamata Disturbo depressivo Maggiore.  

Allo stesso modo, io che ho sperimentato la mania in quei rari momenti di crisi che possono capitare anche una sola volta in tutta la vita, sono stato etichettato come affetto dal disturbo bipolare di tipo I. Pertanto sono malato anche nella maggior parte del tempo che sono asintomatico, come se avessi sempre costantemente l'influenza anche se non ho la febbre. E questo giustifica la somministrazione di farmaci a vita perchè si tratta di una malattia cronica proprio come il diabete. Come se per combattere l'insorgere dell'influenza dovessimo assumere tachipirina ogni singolo giorno per tutta la vita. 

Allora  mi chiedo, perché per molti è così difficile capire che questa è una grossa assurdità?
Perché le cose sono talmente ben congeniate che come uno prova a smettere di prendere psicofarmaci, di colpo ripiomba in una profonda crisi. Questo fatto è una cosa talmente evidente che viene semplicemente ignorata dagli psichiatri i quali sono sempre ben disposti a dare la colpa di tutto alla presunta malattia sottostante. 

Ecco una analogia che riguarda gli antidepressivi: 

"Se uno tira una molla dalla sua posizione di equilibrio, la molla esercita una forza di opposizione che tenta di riportare la molla  nella condizione equilibrio, più la molla si sposta  dalla sua posizione di equilibrio, maggiore è la forza di opposizione che la molla produce. Allo stesso modo, gli antidepressivi con effetti maggiori perturbanti dovrebbero far scattare delle forze di opposizione che tentano di riportare  i neurotrasmettitori  a livelli di equilibrio. L'accumulo di tolleranza di opposizione nel trattamento antidepressivo può quindi costringere il sistema a superare il suo equilibrio con l'interruzione, e il grado di superamento dovrebbe essere proporzionale all'effetto perturbante dell' antidepressivo ".

Peciò maggiore è l'effetto perturbante del farmaco, maggiore sarà la reazione del sistema che tenta di tornare al suo equilibrio. 
In tal modo una crisi di reazione ai farmaci diventa sintomo di malattia mentale che ritorna. 
Questo fatto è talmente banale che lo capirebbe anche un bambino, ma evidentemente gli psichiatri da quest'orecchio sono completamente sordi. 
Ma vediamo dunque quali sono i punti peculiari del classico esaurimento nervoso rispetto a quelle che sono le diagnosi psichiatriche di oggi: 

Natura episodica: Uno dice: "Ho avuto una crisi di nervi" , piuttosto che "io sono un esaurimento nervoso" o "ho un disturbo di esaurimento nervoso, anche se in questo momento mi sento bene." E 'stato un evento, non una caratteristica della persona.

Sintomatologia indefinita: Il termine permette all'utente di parlare di un periodo di disagio psicologico, senza necessariamente rivelare tutti i dettagli intimi di come ci si sente.

Trigger-Based: Quando si parla di crisi nervose si tende a concentrarsi sui fattori che le hanno prodotte. "Ero sotto enormi pressioni sul lavoro, ho avuto un problema di salute,  mia moglie mi ha lasciato ecc." Le condizioni tendono a non apparire di punto in bianco ma hanno una condizione ben definita per l'esordio.

Incomprensibile: La maggior parte delle persone capiscono che le parole del termine "esaurimento nervoso" sono il prodotto del patrimonio culturale, non indicano niente di scientifico, e non sono destinate ad essere prese alla lettera

Recuperabile: Gli esaurimenti nervosi sono in genere visti, per loro natura episodica, come gli eventi che sono risolvibili - magari con riposo, una riduzione dello stress, o una rielaborazione sistematica delle proprie circostanze di vita.

Ricorrenza:  L'idea di esaurimento nervoso riconosce che la maggior parte degli episodi di disagio mentale si possa aspettare di risolverli abbastanza bene con un buon recupero inter-episodico. Ma potrebbe anche indicare che una persona può essere più vulnerabile di un'altra a tali episodi, quindi suscettibile di maggiore attenzione per lo stress, lo stile di vita,  e primi segni premonitori di destabilizzazione.

La "rottura di nervi", non è un evento letterale, ma un declino nella capacità della persona di gestire le cose al loro livello precedente. Il recupero in genere comporta riposo, un ripensamento delle circostanze che hanno portato al crollo, e la graduale reintroduzione di elementi della vita della persona.
Ecco, questo oggi non è più possibile, grazie alle diagnosi psichiatriche e alla frenesia degli psichiatri di applicarle, oggigiorno la malattia mentale cronica, inguaribile e invalidante gode di un  momento magico mai visto in precedenza, nonostante tutte le cure farmacologiche. Anzi secondo gli psichiatri ci sarebbero molte più persone malate che non sanno di esserlo convinte invece (poveri ingenui) di avere un 'banale' esaurimento nervoso.

Eccezioni

Certamente ci sono persone in cui una predisposizione biologica a episodi di disagio o di scompenso è un fattore importante. Certamente ci sono persone per le quali è necessario o più utile  un approccio puramente medico, penso ad esempio ai casi  di malattie organiche che implicano disturbi di tipo mentale (es. Pellagra, Malvaria) . E certamente ci saranno individui la cui malattia si rivelerà cronica piuttosto che episodica.

Ma rispetto alle categorie diagnostiche inesatte o imprecise con cui attualmente vengono diagnosticate le persone, l'idea di abbandonare completamente il vecchio 'esurimento nervoso' sembra stupida. Se guardiamo l'utilità per l'individuo , ho il sospetto che questa vecchia prospettiva, meno formale potrebbe essere migliore.


sabato 14 febbraio 2015

Storie di recupero: la storia di Daisy

18 psichiatri, 37 anni ininterrotti di cocktails chimici, circa 360 mila pillole ingerite. Nonostante questo assalto, Daisy riesce contro il parere di tutti a smettere di 'curarsi' e recuperare la salute mentale. Questa grande fetta della sua vita non sarebbe andata sprecata con presa in carico della psichiatria con tutto il corollario di stigma e disabilitazione per i trattamenti farmacologici se fin dall'inizio si fosse rivolta ad uno psicoterapeuta. L'unica cosa che era giusta da fare.   
Qual'è stato il suo grande pregio? Quello di non essersi mai arresa nel cercare di capire e continuare a fare domande. 


La storia di Daisy


Parte prima: Diventare paziente psichiatrico: Facile come contare fino a 3!

Vivere con una malattia mentale è un lavoro duro. Lo so perché ho vissuto come paziente psichiatrico per oltre 37 anni. Lavorare per uscirne fuori è stato  ancora più difficile. Lo so perché ci sono volute tutte  le risorse che avevo per recuperare. Anche se diciotto psichiatri mi hanno trattato, la mia salute è solo peggiorata. Ho recuperato completamente dopo che ho trovato uno psicologo privato. Adesso, non prendo droghe psichiatriche e non vedo psichiatri.

Il mio libro quasi completato, che io chiamo il progetto Daisy , racconta la storia di come sono diventata una paziente nella mia zona, una provincia della Columbia Britannica nel Canada.  Nel libro spiego perchè sono stata 'malata' per tanto tempo, e gli ostacoli che ho passato per recuperare pienamente . Questo articolo fornisce una breve panoramica del mio viaggio.

I miei problemi cominciarono dopo che mia madre abusò sessualmente di me quando ero molto giovane. Sono cresciuta emotivamente immatura, a quindici anni  trascorrevo ore a piangere nella privacy della mia camera da letto. Sette anni più tardi e nel mio ultimo anno di università, ho fatto quello che ho creduto di essere una decisione responsabile:  chiedere aiuto a uno psichiatra.

Tutto di me era sbagliato. Quello che dicevo, quello che non dicevo, quello che avevo fatto e quello che non avevo fatto. Mi sono sentita così male che volevo morire. Quando lo psichiatra mi chiese che cosa mi aveva portato nel suo ufficio, non riuscivo a pronunciare una parola mentre volevo dirgli quanto male mi sentivo. Ci sono voluti un paio di sedute prima che potessi raccontre allo specialista delle sciabole che immaginavo sfrecciassero dal cielo direttamente verso di me. Lo psichiatra mi prescrisse Stelazina, un farmaco antipsicotico di recente approvazione. Iniziai subito  a dormire meglio. Mi sarei presto laureata nella classe del 1965 dalla Scuola UBC di Nursing, trovai un posto di lavoro e un posto in cui vivere. Lo psichiatra approvò la mia scelta  e io andai a lavorare nella mia nuova posizione di infermiera pediatrica. Ero una ventitré enne spaventata, quasi certa di guai in arrivo.

Come previsto, il lavoro fu un disastro. Piangevo nella toilette durante le pause per i pasti. Lo psichiatra aggiunse un antidepressivo. Mi assopivo durante la pausa caffè: Lo psichiatra allora aggiunse uno stimolante. Le mie mani tremavano quando preparavo le iniezioni: Lo psichiatra aggiunse un antiparkinsoniano anti-effetto collaterale dei farmaci. Non riuscivo a pensare chiaramente: Lo psichiatra aumentava la dose dell'antipsicotico. Le mie emozioni appiattite mascheravano il mio star male, mentre le altre infermiere mi evitavano, un supervisore mi insultava e un altro mi molestò  sessualmente. La mia ansia  aumentava; la mia disperazione cresceva; il mio dolore emotivo peggiorava. Lasciai infine il mio lavoro.

Malata come ero, volevo fare la differenza nella vita delle persone come me. Andai perciò a lavorare presso l'istituto psichiatrico provinciale. Ascoltavo le storie dei pazienti. Osservavo il comportamento degli psichiatri. Ho messo in discussione le regole ei regolamenti degli amministratori. Ero un agente sotto copertura che spiava i segreti più profondi dell'istituzione e testimoniava il dolore di coloro che vivevano nella sua atmosfera agghiacciante. Allo stesso tempo, mi sono sentita spesso perduta nel mio mondo e volevo uccidermi.

Per evitare di finire istituzionalizzata, ho fatto tutto il possibile per migliorare.

Ho smesso di vedere uno psichiatra che era più arrabbiato di me. Il mio medico di famiglia mi ha mandato ad un altro. Ho smesso di vedere anche lui, perché  era troppo familiare. Quando ho chiesto al mio medico di famiglia per un terzo rinvio mi ha detto che i medici erano buoni medici e si è rifiutato di mandarmi da un terzo. Ho protestato con un sit-in. Ho lasciato la sala di consultazione e mi sono seduta nell'area della reception, preparata a rimanere li seduta per il tempo che mi serviva per ottenere un rinvio. Un'ora dopo, il medico ha scritto il rinvio. Oltre a vedere psichiatri, ho partecipato a programmi di sostegno della salute mentale. Quando un amministratore ha cancellato un programma che in realtà mi stava aiutando, ho protestato con alti funzionari.

Venticinque anni di psichiatria non mi hanno aiutato. Quando ho chiesto al mio tredicesimo psichiatra quello che poteva fare per me, mi ha detto che non si sarebbe  impegnato per il successo; così facendo, non avrebbe fatto errori. Perché, allora,  lui e altri psichiatri mi hanno prescritto dosi elevate di venti diversi farmaci psichiatrici, a volte cinque o sei diversi farmaci al giorno, se non potevano impegnarsi per il mio successo?

Gli psichiatri avevano il dovere di curarmi, soprattutto quando si trattava di effetti collaterali dei farmaci. Il mio corpo stava male e l'unico sollievo era camminare nei corridoi o camminare per chilometri. Il mio discorso era impastatato, le mie labbra tremavano e qualche volta mi sono soffocata col cibo. Camminavo come in uno shuttle e avevo uno sguardo vuoto sul mio  viso. Ho avuto periodi di cecità e non riuscivo a guidare. Quello che la gente mi diceva non aveva senso. Dimenticavo sempre le cose.

Così che cosa hanno fatto gli psichiatri? Hanno truccato i dosaggi o modificato il farmaco e mi hanno detto di tornare al lavoro.

Il termine "effetti collaterali" minimizzava il grave danno che si estendeva alla mia famiglia. Hanno parlato di me alle mie spalle e mio marito era pronto a lasciarmi. Quando la mia salute è peggiorata  lo psichiatra mi ha prescritto l'elettroshock. Ho finito per vivere di una pensione di invalidità. Se i miei psichiatri praticavano la cura basata sull'evidenza, non stavano prestando attenzione perché non vi era alcuna prova che io stavo meglio.

Qualunque cosa fosse accaduta era ovviamente  mia la responsabilità e ho dovuto raccogliere la sfida. Nel 1990 scrissi nel mio diario: "Mi è stato detto che sono coraggiosa, alcuni dicono potente. Per me questo è un complimento, ma io stavo tremando nelle mie scarpe. "Ho continuato con coraggio spinta dei medici, i quali hanno continuato a non sapere aiutarmi. Infine, nel 1995, chiesi al mio sedicesimo psichiatra cosa pensasse sull'andare da uno psicologo. Mi disse di non aprire un vaso di Pandora. Appena tornata a casa, presi un appuntamento con uno psicologo. Lo psicologo sapeva esattamente cosa fare. Era sempre rispettoso e ascoltava con attenzione. Aggiustava la terapia a seconda di come stavo  e non ha mai rinunciato a vedermi. Cominciai a parlare, fare amicizia e stare in piedi  meglio di chiunque avesse mai pensato possibile. Tuttavia, la mia ansia continuava. A questo punto, ne avevo fatta molta di strada nel mio viaggio verso il  benessere e non volevo lasciare andare il mio sogno di un completo recupero.

Nella metà degli anni 1990 l'industria farmaceutica finanziava le organizzazioni per sostenere l'accesso a nuovi e più potenti farmaci. Allo stesso tempo, i medici tradizionali si chiedevano se la psichiatria apparteneva alla professione medica. Gli psichiatri non utilizzavano raggi X e esami del sangue per diagnosticare la malattia mentale, anzi parlavano con i pazienti. Gli psichiatri hanno anche affrontato una dura concorrenza dagli psicologi e i consulenti.  Per placare la professione medica ed essere distinti dalla concorrenza, gli psichiatri hanno cominciato a basarsi  soprattutto sui farmaci. In aggiunta alle pressioni sociali e professionali del tempo, i miei psichiatri sembravano mancare di una conoscenza approfondita dei farmaci e quando chiedevo spiegazioni, tendevano a evitare la responsabilità per le loro pratiche di prescrizione. Mi chiedevo se avessi mai superato le barriere e recuperato, o semplicemente continuato a diventare sempre più malata.

Parte seconda: Difficile da superare

Il mio corpo andava su di giri in marcia alta, non-stop, 24 ore al giorno 7 giorni su 7. Il mio psicologo privato sapeva esattamente cosa fare. Mi porse un tabulato che indicava le mie due benzo prescritte, chiamate anche benzodiazepine, come la causa della mia agitazione. Dopo essermi documentata, mi sono resa conto che i sei psichiatri che mi avevano prescritto i farmaci di dipendenza non riconoscevano che i miei problemi fisici e mentali erano gravi reazioni alle benzodiazepine.

Un mese prima, avevo smesso di mio il buspirone, un farmaco anti-ansia; e il bupropione, un antidepressivo. Tuttavia, quando avevo cercato di smettere le  mie benzodiazepine, Ativan e Rivotril, il ritiro era troppo brusco e sono tornata a prenderli. Eppure, volevo davvero togliere tutto così ho parlato con la dipendenza dei servizi. Non potevano aiutarmi. Ho chiamato delle donne quotate sui tabulati di computer. Una mi ha detto di andare piano e un altra ha detto di abbassare le mie aspettative. Una terza, che aveva studiato la letteratura medica sulle benzodiazepine, mi ha offerto assistenza telefonica durante il periodo di recesso. Tutte e tre le donne mi hanno detto quanto sia stato difficile trovare un medico che sappia come fa dismettere i farmaci alla gente in modo sicuro ed efficace.

Ovviamente, era mia responsabilità scalare farmaci potenti così ho chiesto al mio farmacista un aiuto e mi ha dato una copia di "benzodiazepine: come funzionano e come si dismettono del Dr. Heather Ashton. Prendere benzo era una tortura e assottigliare le dosi  era probabilmente anche peggio. Ho trovato uno psichiatra che ha accettato di aiutarmi, ma quando parlava del suo "metodo veloce e facile," ho avvertito problemi. Gli ho chiesto di leggere il Manuale di Ashton, che ha indicato un approccio passo-passo per scalare i farmaci in modo sicuro ed efficace utilizzando diazepam [Valium] come farmaco di transizione. Ha accettato di seguire il regime. Il ritiro è stato iniziato.

Per avere successo nel processo di dismissione, ho messo la mia rabbia al suo posto: rivolta ai medici e al sistema sanitario. La gestire i sintomi è stata  mia responsabilità. Ero agitata e disorganizzata, così ho assunto una casalinga ed ho istruito i miei amici sulla mia irritabilità ed agitazione da ritiro. Ho chiesto il loro aiuto. Per cullarmi e riuscire a dormire, ho lavorato a maglia degli strofinacci. Per aiutarmi con i dolori muscolari, ho fatto dei bagni caldi. Per mantenermi in forma fisicamente, ho frequentato lezioni di yoga. Per aiutare il mio atteggiamento, ho fatto brevi passeggiate in un campo vicino, camminando con attenzione per non cadere. Ho respirato profondamente mentre godevo di  erbe ondeggianti e di sorrisi ai passeri che  svolazzavano tra gli alberi. Per lo più ho rimandato le decisioni più importanti, ma la mia difficoltà a gestire il denaro era così urgente che ho dovuto organizzare dell'assistenza. Quando lo stress era troppo, un amico si è preso cura del mio cane. Ho smesso di guidare. Ho pregato, ho trovato utile una pratica spirituale. Ogni mattina, mi sono ricordata che sarei diventata una nuova donna in un anno.

Lo psichiatra mi ha accusato per l'agitazione e ho temuto che potesse fermare le prescrizioni. Avevo sentito parlare di medici che abbandonano i loro pazienti lasciandoli passare attraverso un ritiro 'tacchino freddo' (smettere di botto ndt). Così, quando ero in studio dello psichiatra ho cercato di sembrare calma parlando lentamente e abbassando il tono della mia voce. Gli ho detto abbastanza così che potesse continuare a scrivere le prescrizioni per le dosi più basse  di diazepam.

Infine, il 19 maggio del 2001, ho preso il mio ultimo psicofarmaco. Per celebrare il momento, ho chiamato i miei amici per dire loro del mio successo. Ho messo tutte le mie pillole non utilizzate in una grande borsa e le ho portate al farmacista dicendogli, "L'ho fatto." Ho ordinato un braccialetto medico di emergenza con inciso il messaggio che ho avuto allergie ai farmaci. Più tardi, nel pomeriggio, un camion ha consegnato un mazzo di fiori. Il mio trionfo sulla psichiatria era ufficiale.

Quando ho pensato di nuovo alla  dismissione dei nove mesi precedenti, mi sono resa conto che avevo attraversato simili  orrendi momenti in altre quattro occasioni. Quando lo psichiatra fermò il Parnate nel 1976 il dolore era come un fulmine sparato attraverso il mio corpo. Quando lo psichiatra fermò il Ritalin nel 1977, per un anno non ho potuto domire. Quando lo psichiatra fermò il Trilafon nel 1986 sono stata in ospedale per otto settimane. Infine quando lo psichiatra arrestò un intero gruppo di antidepressivi nel 1994 non riuscivo a respirare, avevo orribili violenti e talvolta inconsapevoli crampi allo stomaco e vomito. I ritiri acuti erano finiti. Eppure, ci sarebbero voluti mesi o forse anni per recuperare pienamente dai problemi causati dalle benzodiazepine. Anche se i problemi di sonno, mantenere la calma e le mie difficoltà di memoria stavano probabilmente  indugiando, ero orgogliosa di essere libera, fuori da tutti i miei psicofarmaci.

Per 37 anni, l'effetto dei miei farmaci aveva offuscato i miei sentimenti, reso i miei pensieri ampollosi e soffocato la mia personalità. Il mio successo nella dismissione mi ha riportato in vita. I colori sono diventati più luminosi. La musica suonava più vivace. Il profumo dei fiori mi eccitava. Ero entusiasta del mio futuro, fino ad allora ignara che la vita era fatta anche di gioiosa eccitazione.

Parte terza: My Life My Way

La mia vita ora va bene. Sono passati dodici anni dall'ultima volta che ho visto  uno psichiatra o l'ultima che ho preso uno psicofarmaco. All'inizio ero arrabbiata, veramente arrabbiata. Per affrontare gli anni di cura inutili, illeciti e a volte violenti, ho scritto lettere al Ministro della Salute, il capo dell'Autorità sanitaria, all'Ufficio del difensore civico e a dei politici. Ho chiesto un finanziamento per pagare il mio psicologo privato perché ho avuto bisogno di recuperare dai danni emotivi che mi sono stati inflitti  come  paziente psichiatrico. I funzionari hanno detto di no. Era ingenuo pensare che il governo avrebbe pagato senza un lungo processo legale con avvocati costosi. Ho dovuto accettare che fossero successe cose brutte alla gente buona, me compresa.

Le cose negative mi hanno cambiata. Non mi fido di nessuno, specialmente dei medici, e faccio  spesso attenzione ai pericoli. Qualcuno potrebbe dirmi che l'eccessiva vigilanza sia paranoia, ma la paranoia si verifica quando non vi è alcuna ragione valida per stare costantemente all'erta. Io ho avuto ottime ragioni. Gli psichiatri, che avrebbero dovuto aiutarmi a recuperare dagli effetti di abuso sessuale di mia madre, in realtà hanno aggiunto altro trauma, anche se in modo diverso. Hanno gridato contro di me e violentata. Gli psichiatri non mi hanno ascoltata con la loro tendenza a saltare alle conclusioni. I farmaci psichiatrici hanno reso molto difficile proteggere me stessa e ho lasciato i loro uffici sentendomi meno che umana. Una volta che ho smesso di vederli, la mia fiducia è cresciuta e ho abbassato la guardia.

L'abuso nell'infanzia e l'abuso psichiatrico hanno alterato i miei circuti neurologici, le funzioni corporee ormonali ed altro, tanto che era difficile dire cosa poteva dipendere dall'abuso e cosa da altro. I medici hanno usato farmaci per correggere, per modificare e l'assunzione di pillole da prescrizione è diventata un'abitudine. Ho preso pillole per  calmarmi, pillole per dormire e pillole per rendermi felice. Pochi mesi dopo l'interruzione di tutti i farmaci, ero un fascio di nervi e ho aperto l'armadio in cerca di una pillola. Ho dovuto smettere di vivere con il pilota automatico, come avevo fatto per tanto tempo. Per calmare me stessa senza usare farmaci sono passata dal ricorrere  distrattamente alle pillole, a respirare nel modo in cui la psicologa mi aveva insegnato.

Una delle mie più grandi sfide è stata quella di mantenere la calma, ed anche oggi devo controllare la mia attività. Faccio molta attenzione a quello che guardo in tv e limito il mio tempo con le altre persone. Raramente vado al mercato degli agricoltori locali e faccio fatica nel viaggio. Ero una persona sociale che ora ha dovuto mettere insieme una vita tranquilla. Nei primi anni della mia nuova vita, ho decorato la mia casa con le mie sculture, dipinti e tessuti trapuntati. Un visitatore ha detto che la gente dovrebbe pagare per vedere il mio posto. Oggi, cammino con il mio cane Ann, tutti i giorni; visito gli amici stretti, frequento pranzi in chiesa e faccio volontariato. Mi dedico al giardino, cucio e cucino.

Dormire è stata un'altra sfida. Da oltre 37 anni, farmaci  sedativi mi hanno fatto dormire e gli stimolanti mi hanno  tenuta sveglia. La caffeina è diventata un problema enorme. La metà di una tazza di tè mi fa sballare per due o tre ore, poi una sensazione stupida prende il sopravvento e ci vuole un giorno e mezzo per ripigliarmi. Ci sono voluti cinque o più anni prima di riuscire ad avere diverse notti in una settimana di sei o sette ore di sonno riposante. Per fortuna mi sono ritirata in pensione e non ho bisogno di essere vigile sul lavoro.

Mi sono preoccupata molto dei danni cerebrali. Come ho potuto ingoiare una stima di 360.000 pillole di sostanze chimiche potenti senza subire una qualche forma di demenza? Un anno dopo essermi tolta i farmaci, ho chiesto al mio psicologo di testare la mia intelligenza. I risultati sono aumentati in modo significativo rispetto ai test effettuati quando prendevo  psicofarmaci. Il mio cervello ha lavorato bene.

I farmaci psichiatrici mi hanno causato un sacco di danni tanto che  non ho mai voglia di prendere qualunque farmaco che possa avere un effetto indesiderato. Ogni volta che un medico vuole scrivere una ricetta per me gli dico prontamente che sono "allergica." Quando il medico mi chiede come l'ho saputo, rispondo che i farmaci mi rendono agitata. Allora a questo punto accettano il mio ragionamento.

Ho stimato che la mia memoria, il progetto Daisy, la mia cartella  personale è alta quattro metri. Ho i documenti delle registrazioni dei miei medici, i ricoveri, i datori di lavoro e i fornitori di assicurazione di invalidità. Ho i fogli di calcolo da parte del Ministero della Salute che elencano i dettagli delle mie prescrizioni e le visite ai medici. Durante la mia malattia, ho tenuto un diario. Mentre scrivevo la mia storia, ho studiato in profondità  le mie cartelle cliniche. Ho scoperto che ero una donna dura che è migliorata  perché ho fatto domande aspettandomi delle risposte,  mai ho rinunciato a chiedere. Oggi, io sono una donna anziana attiva e parlo del danno che ho subito da un sistema di salute mentale che avrebbe dovuto invece proteggermi. 
La mia speranza è che altri che sono ora nelle condizioni in cui ero io possano scoprire e imparare che è possibile recuperare e raccogliere anche il coraggio di parlare.

Fonte: madinamerica.com