Recupero

Guarire dalla malattia mentale si può? Come si può 'guarire' da se stessi?

Ma la malattia mentale esiste? Si può definire malattia un carattere, una diversa attitudine, un'emozione intensa? Purtroppo secondo la psichiatria organicista, la malattia mentale esiste ed è inguaribile, tuttavia curabile necessariamente con i farmaci, anche se non è mai stato dimostrato alcuno squilibrio chimico alla fonte né che gli psicofarmaci curino qualcosa. Numerose esperienze di 'sopravvissuti' e indagini indipendenti dimostrano invece l'esistenza di una 'trappola farmacologica' molto subdola che, lungi dal 'guarire', favorisce il mantenimento o la cronicizzazione della supposta malattia.
Questo spazio vuole dare la possibilità ai cosiddetti malati mentali di conoscere le reali implicazioni dei farmaci , di cui spesso ne abusano, di riflettere sulla propria condizione, di acquisire nuove conoscenze diventando capaci di riprendersi il controllo della propria vita e delle proprie emozioni.
Si potrà 'guarire' soltanto quando ci allontaneremo dal nostro punto di vista limitato per abbracciare il problema nella sua globalità, con un approccio di tipo olistico.

Attenzione: È potenzialmente pericoloso dismettere psicofarmaci senza un'attenta pianificazione. È importante essere bene istruiti prima di intraprendere qualsiasi tipo di interruzione di farmaci. Se il vostro psichiatra accetta di aiutarvi a farlo, non date per scontato che sappia come farlo al meglio, anche se dice di avere esperienza. Gli psichiatri non sono generalmente addestrati sulla sospensione e non possono sapere come riconoscere i problemi di astinenza. Numerosi problemi di astinenza sono mal diagnosticati come problemi psichiatrici. Questo è il motivo per cui è bene educare se stessi e trovare un medico che sia disposto ad imparare con voi. In realtà tutti i medici dovrebbero essere sempre disposti a fare questo ai loro pazienti che lo desiderano.

venerdì 21 novembre 2014

La follia di Girolamo

Premessa:

R.D. Laing
Fondata negli anni 70 a Londra, Portland Road era una casa di accoglienza gestita da colleghi e discepoli dello psichiatra R.D. Laing, che fu anche uno dei principali ispiratori del movimento antipsichiatrico. 
Laing fu uno dei primi medici a descrivere la cosiddetta malattia mentale come un'esperienza esistenziale o punto di vista che in linea di principio è perfettamente comprensibile agli altri e dotata di senso. Laing tuttavia come psichiatra sosteneva l’esistenza della malattia mentale, intesa come sofferenza psichica, di cui è necessario ricercare la cura attraverso l'intervento esterno del medico.
Negli anni settanta insieme ad altri suoi colleghi e seguaci fondò una serie di luoghi di accoglienza, alternativi all'ospedale psichiatrico, dove mettere in pratica le sue idee non ortodosse sul 'non-trattamento' della schizofrenia e di episodi psicotici in genere. 
Il narratore era un praticante della casa di Porland Road che come Laing aveva sperimentato la depressione. In quella casa di accoglienza non si usavano farmaci e si praticava la psicoanalisi.  
La regola fondamentale di analisi presuppone una capacità di sincerità. Allo stesso modo, a Portland Road la gente si aspettava di essere sincera con le persone a cui offrivano il loro aiuto, per contattare la parte della loro personalità che era ancora sana di mente, non importava quanto pazze potevano apparire.
L'episodio di Girolamo, lungi da essere un esempio significativo per spiegare la 'follia' o la cosiddetta psicosi, fu un caso molto particolare ma tuttavia interessante per capire la filosofia che stava alla base di questi non-trattamenti. 


La follia di Girolamo

Girolamo era un giovane uomo piuttosto magro, una persona dai capelli scuri ed estremamente timido. Negli ultimi due o tre anni  aveva sviluppato una sorta di ritiro dalla sua famiglia composta da  madre, padre, e una sorella minore. Si ritirava nella sua stanza e  vi si rinchiudeva finché i suoi genitori cercavano di convincerlo a uscire fuori da li, e quando questo non funzionava  si arrabbiavano  minacciando di punirlo se non avesse aperto la porta. Girolamo si rifiutava di muoversi. Alla fine, esasperati i suoi genitori contattarono l'ospedale psichiatrico locale per chiedere aiuto. Girolamo fu alla fine prelevato con la forza dalla sua stanza, legato in ambulanza e portato in ospedale. Una volta lì, continuava col suo comportamento schivo rifiutandosi di parlare con chiunque. Per tutto il giorno, non riusciva a dire perché si stava comportando in questo modo o che cosa sperava di ottenere così. 

Fu allora  diagnosticato  affetto da schizofrenia catatonica con caratteristiche depressive. Gli vennero somministrate una serie di sedute di Elettroshock (ECT) e in poco tempo Girolamo fu restituito alla  famiglia, apparentemente risanato e di nuovo cooperativo. Sei mesi dopo o giù di lì si ripeteva lo stesso scenario: il ritiro in camera sua, la rimozione in ospedale, ECT, il recupero. Non fu mai formulata alcuna ipotesi del perché Girolamo si ostinava a comportarsi così. Ma ogni volta che il ciclo si ripeteva, era necessario un trattamento più lungo che fosse in grado di riportarlo "in sé." Lui e la sua famiglia  sopportarono questa routine in tre diverse occasioni nel corso di un periodo di due anni.

Fu così che lo psichiatra che lo aveva in cura contattò Laing confessandogli che lui e i suoi colleghi presso l'ospedale avevano gettato la spugna con Girolamo e disse che se fosse stato ricoverato in ospedale ancora una volta non sarebbe più tornato a casa. Questo, adesso era il quarto episodio del genere. In questa occasione, quando i suoi genitori implorarono Girolamo di uscire dalla sua stanza gli rispose che lo avrebbe fatto a una condizione: che venisse visitato da Laing. Girolamo aveva letto il libro di Laing "L'io diviso" e concluse che Laing era l'unico psichiatra di cui poteva fidarsi perché non lo avrebbe "trattato"  per una malattia mentale come invece avevano fatto gli altri.

Quando infine Girolamo venne a Portland Road, disse  quello che desiderava. Voleva una stanza personale dove poter rimanere fino a quando era pronto a venire fuori. Ci chiese di onorare la sua richiesta e, con un po' di trepidazione, decidemmo di accettare le sue condizioni. Girolamo era diverso da tutte le altre persone che ho conosciuto a Portland Road, perché lui ci ha presentato la sfida più grave che abbiamo mai dovuto affrontare. A causa della natura delle sue richieste , Girolamo privava Portland Road della sua più efficace fonte di guarigione: la comunione condivisa dalle persone che vi abitavano. Il piano di Girolamo minava la filosofia che Laing e Hugh Crawford avevano formulato, tuttavia  sentivamo che Girolamo aveva il diritto di perseguire l'esperienza, anche se il comportamento verso l'esterno fu problematico. Anche se l'esperienza di una persona è un affare privato, il comportamento con cui si impegna con altri non lo è, perché i due soggetti sono sempre legati. La filosofia a Portland Road era quella di tollerare un comportamento non convenzionale in misura straordinaria, al fine di facilitare la lotta di fondo in cui persona era impegnata.

Il setting psicoanalitico tradizionale, ad esempio, pone enormi vincoli sul comportamento di una persona, compreso l'uso di un divano per facilitare la sincerità. A Portland Road, convivevano  tutti insieme esposti ad ogni sorta di comportamenti  imprevedibili, e talvolta violenti. In altre parole, vi era  un elemento di rischio a vivere in queste condizioni perché nessuno sapeva fino che punto qualcuno poteva  credere fino in fondo a quello che stava vivendo.

Fedele alla sua parola, Girolamo andò nella sua stanza e ci rimase. Lui aveva la sua stanza, nessuno lo vedeva entrare o uscire. Anche se non era raro che con la sua famiglia rinunciasse occasionalmente a un pasto, il modo in cui Girolamo si era ritirato dagli altri era estremo. Nessuno ancora lo aveva visto sgattaiolare al piano di sotto per mangiare nel bel mezzo della notte, o per usare il bagno. Il nostro senso di preoccupazione si trasformò ben presto in allarme. Girolamo a quanto pare non mangiava nulla e divenne sempre più chiaro che era anche incontinente. Provammo a parlare con lui. Gli dicemmo che questo non faceva parte del nostro accordo; trasformarci in un ospedale dove avremmo dovuto prenderci cura di lui. "Oh, invece sì!", insistette Girolamo. Eppure, Girolamo apparentemente non soffriva di alcun dolore. Non sembrava particolarmente depresso, ansioso, o catatonico. Era solo molto testardo! Insisteva a voler fare così, anche se non poteva o non voleva spiegarci il perché.

Ricordammo a Girolamo che noi stessi ci eravamo esposti per lui, tenendo i suoi genitori all'oscuro mentre stava giocando con  la sua salute. Dov'era la gratitudine, un gesto di buona volontà, in cambio? Girolamo si  rifiutava di discutere del suo comportamento o esplorare le sue motivazioni di fondo. Né avrebbe  riconosciuto il suo ritiro come un sintomo di una crisi. Egli semplicemente era eccessivamente protettivo della sua esperienza privata, i cui dettagli si rifiutava di condividere. Girolamo alla fine accettò di mangiare alcuni alimenti al fine di scongiurare la morte per fame, finché glieli portavamo. Il fetore della sua incontinenza diventava oneroso, anche se Girolamo era apparentemente ignaro di ciò. Non sorprende che, ben presto divenne l'argomento di conversazione di ogni sera intorno al tavolo da pranzo.

"Che cosa stiamo facendo con lui," ci siamo chiesti. Ironia della sorte, Portland Road si era trasformata  in un ospedale psichiatrico. Eravamo costantemente preoccupati per la sua salute fisica, la sua dieta, e il crescente potenziale di piaghe da decubito, che cominciò a sviluppare. Continuava a perdere peso a causa della quantità esigua di cibo che stava mangiando. Potevamo dirgli che doveva lasciare o che abbiamo dovuto capitolare di fronte alle condizioni straordinarie che ci aveva presentato. Quando trapelò la notizia del nostro dilemma, Laing diventava sempre più nervoso. Una volta Girolamo sviluppò delle piaghe da decubito tali da rischiare di essere portato in un ospedale per le cure mediche. Ad aggravare tutto il resto, Girolamo non riusciva a trattenere le quantità scarse di cibo che stava mangiando vomitando frequentemente. Se questo vomito fu auto-generato o involontario non ci fu dato saperlo.

Nessuno di noi possedeva la competenza o la voglia di operare come il personale ospedaliero. Chi  andava a pulirlo, fargli  il bagno, e tutte le altre cose che erano essenziali per la sua sopravvivenza? Alcuni di noi alla fine accettarono di essere la sua balia, per mantenere la sua condizione di stabilità. Almeno lui era vivo. Ma per quanto tempo ancora avremmo dovuto aspettare prima che Girolamo finalmente avesse abbandonato il suo isolamento?

Altri quattro mesi passarono. Ormai la famiglia di Girolamo insisteva per visitarlo e minacciava azioni legali se non lo  permettevamo. Non eravamo, tuttavia, sul punto di lasciare che accadesse. Crawford ci implorò di rimanere pazienti e lasciare che le cose seguissero il loro corso. Laing, tuttavia, era particolarmente preoccupato, ma data la nostra determinazione a vedere come andava a finire, accettò di sostenerci e mantenere a bada la  famiglia di Girolamo, che ormai si lamentava  con lui.
Nel frattempo, Girolamo continuava a perdere peso e le sue condizioni di salute peggioravano. Ora, dopo sei mesi, avevamo di fronte a noi una vera e propria crisi. Girolamo aveva sviluppato piaghe da decubito, ma continuava a resistere, a non voler parlare con noi o cedere nel suo comportamento. Al contrario, protestò aspramente sui nostri sforzi per fargli il bagno e anche per prevenire la fame.

Finalmente decidemmo che un cambiamento di qualche tipo era  essenziale se speravamo di giungere a una conclusione soddisfacente. Decidemmo allora che Girolamo doveva essere in stretta vicinanza con la gente con cui condivideva la casa, anche se non voleva. La minaccia alla sua salute fisica e la mancanza di contatto, nei termini umani più elementari, era allarmante. Se lui non poteva, o non voleva unirsi a noi, forse avremmo potuto unirci noi a lui. Così decidemmo di spostarlo nella mia camera da letto. In ossequio al sacrificio della mia stanza privata, altri decisero di fare il bagno a Girolamo e dargli da mangiare su un programma normale, cambiare le sue lenzuola, passare del tempo e sforzarsi di parlare con lui, anche se si rifiutava di ricambiare. Gli facemmo massaggi terapeutici per alleviare la perdita di tono muscolare e per qualche contatto fisico. Ci rassegnammo al fatto che abbiamo dovuto, che ci piacesse o no, diventare un "ospedale". Ci siamo sentiti sicuri, tuttavia, che la sua condizione era destinata a migliorare.

In realtà, la sua condizione si era stabilizzata, ma questo era tutto. Mi sono abituato alla puzza, al silenzio. Ma non ha aiutato la mia depressione, condividere la camera con un fantasma che perseguitava lo spazio, ma non poteva occuparlo. Avevo bisogno di qualcosa per alleviare il torpore che ormai permeava il nostro spazio comune, quindi invitai la più florida persona "schizofrenica" di Portland Road, un altro giovane uomo che credeva di essere Mick Jagger, a trasferirsi nella nostra stanza con noi, tutti e tre a condividere la stessa camera. Questa nuova persona, che chiamerò Mick, 'allietava' Girolamo mattina e sera con la sua chitarra - che fra l'altro non aveva idea di come suonare! - E probabilmente fece sentire Girolamo ancora più pazzo di prima. Ma hey, almeno era un vivace diversivo,anche se più folle, a disposizione, e con tutta la commozione e le lamentele di Girolamo  ho subito recuperato dalla mia  depressione. Sia che a Girolamo piacesse o no, il nostro ospite "rock star" venne qui per rimanere, e ammetto il  colpevole piacere che ho sentito nel comfort che Girolamo non era in completo controllo della nostra vita.

In poco tempo un anno era passato, ma ancora nessun cambiamento visibile di Girolamo. Nel frattempo, si era verificato un certo numero di crisi tra la famiglia di Girolamo e Laing, una crescente impazienza di Laing con noi, la nostra impazienza con Girolamo, e, infine, tra noi e Hugh Crawford per non sostenere i nostri numerosi sforzi per dimettere Girolamo. Eravamo pronti, - desiderosi! - Di ammettere la sconfitta e rassegnarci ad un guasto irreparabile. Le condizioni di Girolamo erano apparentemente interminabili. Il suo "asilo" con noi era diventato per lui semplicemente un modo di vivere. Adesso sembrava ovvio per noi che questo era tutto quello che aveva veramente voluto da noi, vivere nello squallore che aveva generato intorno a sé.

L'urgenza della situazione di Girolamo divenne gradualmente un luogo comune, e in qualche modo meno urgente da risolvere. La vita a Portland Road continuiava indipendente della situazione di Girolamo. Altri avevano i loro problemi, che venivano affrontati nel modo consueto come era nostra usanza. Un altro mese era scivolato via, e poi un altro, fino a quando ho finalmente perso la cognizione del tempo e smesso di contare i giorni. Girolamo aveva da tempo cessato di essere l'argomento serale di conversazione e la sua presenza era diventata un appuntamento fisso, come i mobili della casa. Nessuno notò nemmeno l'anniversario di un anno e mezzo che Girolamo era arrivato a Portland Road. Eravamo così abituati alla sua strana definizione di convivenza: i bagni, i cambiamenti di lenzuola, le serenate, che quasi non notammo quella sera accanto al fuoco quando Girolamo con nonchalance sgusciò al piano di sotto per usare il bagno. Quando ebbe finito tirò lo scarico, sbirciò con la testa per dire ciao, e tranquillamente tornò al piano di sopra. Per usare un eufemismo, eravamo in uno stato di shock, ci pizzicavamo a vicenda per assicurarsi che non stavamo sognando.

Un'ora più tardi, Girolamo tornò, sommariamente annunciò che aveva  fame, ed effettivamente aveva terminato il digiuno che l'aveva ridotto a 90 libbre di peso (41 Kg ndt). Questo era un Girolamo che non avevamo mai incontrato: loquace, anche se timido, ma all'improvviso sociale comunque. Non potevamo credere ai nostri occhi e le orecchie. Fino a quando, ci siamo subito preoccupati, forse un ultimo guizzo, prima di tornare al suo solito isolamento? Il giorno successivo, Girolamo aveva evidentemente preso una nuova svolta. Alla fine, inspiegabilmente aveva concluso quello che stava facendo, impegnato in Dio-sa-che sorta di bizzarra meditazione silenziosa. Naturalmente, abbiamo voluto sapere. "Che diavolo sei stato a fare, Girolamo, tutto quel tempo da solo?" Gli chiesi. 
Io non credo che nessuno di noi ci aspettavamo una risposta. Non abbiamo pensato che Girolamo ne potesse avere una, ma si è scoperto che ce l'aveva.Ci disse che la ragione per cui si era isolato tutto quel tempo, per un anno e mezzo, era perché aveva dovuto contare fino a un milione, e poi di nuovo a zero, senza interruzioni, al fine di ottenere finalmente la sua libertà. Questo era tutto ciò che aveva sempre voluto fare, nel corso degli ultimi quattro anni, fin dal suo primo impulso di ritirarsi nella sua camera da letto a casa. Nessuno lo aveva mai lasciarlo fare.

Ma perché, gli abbiamo chiesto, ti ci è voluto così tanto tempo? Un anno e mezzo! Noi gli avevamo dato la possibilità di portare a termine il compito.  Secondo Girolamo, sì e no. Dopo tutto, non l'abbiamo lasciato stare. Abbiamo interferito, parlato con lui, suonato musica, dato massaggi e generalmente lo abbiamo distratto dal compito a portata di mano, dal suo conteggio. Disse che ogni volta che era a poche migliaia, anche alcune centinaia di migliaia, qualcuno ha rotto la sua concentrazione con una canzone, un massaggio, o qualsiasi altra cosa, tale da costringerlo a iniziare il conteggio da capo, dal principio. La cosa peggiore, ha detto, è stata quando abbiamo aggiunto il chitarrista! "Ma perché non ce l'hai detto subito?" abbiamo chiesto, "Ti avremmo aiutato con entusiasmo, se solo avessimo potuto sapere quello che stavi facendo." "Questo non avrebbe contato", rispose Girolamo. "Era essenziale permettermi di seguire la mia strada, senza spiegare il perché."

A quanto pare, è stato solo quando la nostra ansia collettiva sul comportamento di Girolamo si fu placata, dopo l'anniversario quando finalmente abbiamo rinunciato e fatto marcia indietro, che fu in grado di completare il compito che si era prefisso di realizzare. Alla fine, senza apprezzare del tutto il suo significato, ci ha sottoposti alle sue condizioni, permettendogli di andare avanti con la sua missione auto-imposta di questa pazza  ispirazione che lo aveva costretto a contare fino a un milione e viceversa, senza interruzioni, senza scuse o spiegazioni.

La natura non ortodossa del "trattamento" che Girolamo ha ricevuto a Portland Road è impossibile da confrontare con le modalità di trattamento convenzionali. Tuttavia, la domanda che ci siamo posti è : ha veramente "funzionato?" E se sì, come? Quasi quarant'anni dopo, Girolamo non ha mai vissuto di nuovo un altro episodio psicotico. Lasciò presto Portland Road, riprese la sua vita, dimostrò di essere una persona, in realtà ordinaria. Naturalmente, ci siamo chiesti il motivo per cui Girolamo aveva sentito il bisogno di ritirarsi la prima volta. Quali sono state le dinamiche, la motivazione inconscia che lo avevano spinto a una soluzione così radicale dei suoi problemi? Queste erano le domande a cui Girolamo non riusciva a rispondere. È significativo, e doppiamente ironico, che Girolamo non aveva bisogno di quelle domande a cui rispondere.  Nella sua condizione in frantumi, non poteva capire se stesso.

Questa storia non ha molto senso per qualcuno che cerca di cogliere una filosofia di trattamento identificabile, a meno che non si tenga conto dell'importanza centrale che Laing ha dato al problema intrinseco della libertà in ogni esperienza di terapia. Questa è stata una preoccupazione che aveva preoccupato anche Freud nello sviluppo della sua tecnica clinica, proprio come aveva fatto con i filosofi esistenzialisti, come Kierkegaard, Nietzsche, Heidegger, Sartre, con cui Laing si era principalmente identificato. Come si fa ad "aiutare" coloro che sono in qualche misura in pericolo personale senza interferire con il loro diritto alla libertà?

La soluzione di Freud a questo problema è stata la neutralità analitica, la pietra angolare della sua tecnica clinica. Seguita dall'antico detto: "non fare del male"; quello che Laing ha riconosciuto come una forma di negligenza benigna. In molti modi, l'esperienza di Girolamo a Portland Road era un esempio perfetto di negligenza benigna da mettere in pratica. Il rispetto che abbiamo cercato di dare a questo giovane era tutto ciò che nessuno di noi sentiva qualificato da offrire. Non abbiamo capito quale fosse la questione con lui, non potevamo nemmeno fingere. Non eravamo sicuri di cosa lo avrebbe aiutato né quello che avrebbe potuto peggiorare le cose, così abbiamo fatto il meno possibile. Seguendo il principio di neutralità, abbiamo impiegato la negligenza benigna discretamente come abbiamo potuto. Né Laing, né Crawford hanno diretto il trattamento, perché non c'era nessun "trattamento" da impostare.

Il modo in cui abbiamo lottato e risposto al vicolo cieco di Girolamo potrà senza dubbio essere considerato imprudente, indulgente, pericoloso, anche bizzarro da parte del personale di praticamente ogni ospedale psichiatrico nel mondo. Il suo comportamento - intransigente, tenace, resistente - sarebbe senza dubbio  stato trattato con ancora più forza di volontà, determinazione, potenza della sua. Chi pensate che, date le forze in gioco, in ultima analisi, possa "vincere" in un tale duello? Naturalmente, verrebbero usati farmaci e scosse elettriche, così come tutto ciò che si ritiene necessario sotto forma di incarcerazione.

Pochi psicoanalisti credono che sia possibile trattare una tale situazione di stallo con l'analisi. Eppure, il nostro trattamento di Girolamo è stato probabilmente una forma di analisi, tesa forse oltre il suo limite. Poiché Girolamo si  rifiutava di parlare, siamo stati costretti a far "parlare" il suo comportamento. DW Winnicott, Harry Stack Sullivan, Frieda Fromm-Reichmann, Clara Thompson, e Otto Will Allen, Jr., sono solo alcuni degli psicoanalisti di spicco che hanno aiutato le persone in questo tipo di crisi. Alcuni hanno raccontato le molte ore che trascorrevano con i pazienti che stavano in silenzio, lasciando che il tempo facesse il suo corso fino a quando qualcosa si rompeva  attraverso l'impasse. Chi potrebbe negare che Girolamo ha  resistito al trattamento? Ma che tipo di trattamento può avere una persona quando la si costringe su di una strada, senza invito o compassione? E cerchiamo di essere sinceri su questo, senza amore? Mi sembra, a pensarci bene, che era il nostro amore per Girolamo che finalmente ha avuto la sua parte quando abbiamo fatto marcia indietro da tutti i nostri sforzi per "aiutare" lui, quando siamo stati in grado di lasciare che sia lui, come ci aveva chiesto, a permettergli di aderire alla nostra comunità, ma alle sue condizioni, non le nostre.

Laing ha visto il suo ruolo  di aiutare le persone che sono venute a vedere "sciogliersi" quei nodi in cui inavvertitamente si sono legati. Egli ritiene che questo ha comportato una straordinaria cura per non ripetere gli stessi tipi di sotterfugi e di coercizione che aveva portato il formarsi di quei nodi in primo luogo. Girolamo era legato in un nodo, ed era venuto qui con la propria soluzione per quello che doveva fare per scioglierli, tra cui la sua insistenza a fare questo in silenzio. Quello che siamo stati in grado di ottenere dal suo percorso e facilitare il suo compito è stato a dir poco un miracolo.

Questo grado di non-intrusione nel contesto della psicoterapia è una rarità. Quei terapeuti che mantengono la loro autorità sui loro pazienti a tutti i costi, e che riducono l'esperienza di terapia in un insieme di tecniche che possono essere apprese non sono suscettibili di abbracciare una metodo di "trattamento" che sia il più modesto nelle sue pretese, prudente con i suoi interventi. Girolamo mi ha insegnato che le tecniche non sono di alcuna utilità quando tutto quello che una persona chiede è di essere accettato per quello che è, incondizionatamente.

Fonte : madinamerica.com

venerdì 7 novembre 2014

Miti sull'antipsichiatria

Dopo i miti sulla psichiatria (vedi luoghi comuni in psichiatria) è il turno dei miti sull'antipsichiatria. Ovvero quello che la gente comune è portata a credere sugli antipsichiatri, con le principali critiche verso le convinzioni di queste persone. Sono critiche fatte dagli esponenti della psichiatria e da quei simpatizzanti pro-biopsichiatria a cui appartengono gli 'utenti' psichiatrici soddisfatti. 

Io ho dato delle risposte a questi 'miti' per sfatarli secondo il mio personale pensiero ma sentitevi liberi di replicare a modo vostro. 



Mito:  I teorici dell'antipsichiatria negano o minimizzano l'enormità del disagio personale / emotivo in cui le persone possono sprofondare.

Risposta:  Non mi risulta che gli antipsichiatri neghino le sofferenze o i disagi che spesso fanno parte delle esperienze estreme della mente umana. Piuttosto negano che simili condizioni siano da considerare una malattia e che di conseguenza vadano trattate come condizioni mediche tramite sostanze psicotrope chiamate psicofarmaci. Vi è una netta distinzione tra una condizione di malattia reale e la mancanza di conformità nel pensiero e nel comportamento secondo me.

Mito:  Gli attivisti dell'antipsichiatria  non hanno alcun interesse che le persone ricevano l'aiuto di cui hanno bisogno.

Risposta:  Credo che la maggior parte degli attivisti antipsichiatrici sia disposto a voler aiutare le persone in questo genere di difficoltà. La differenza sta nel tipo di aiuto offerto, sicuramente secondo loro non è dell'aiuto psichiatrico che le persone in difficoltà hanno bisogno, specialmente quello imposto con la forza. La persona dovrebbe almeno avere la possibilità  di scegliere il tipo di aiuto desiderato. E come ho già scritto in precedenza, spesso anche nessun intervento può essere  sempre meglio del trattamento psichiatrico. 

Mito:  Gli attivisti antipsichiatrici sono anti-farmaco.

Risposta:  Più esattamente dovrebbo essere pro-scelta. Non vi è alcuna ragione per impedire a chiunque di scegliere come curarsi, anche con i farmaci psichiatrici se lo desiderano, così come con sostanze più o meno lecite se tale scelta è pienamente consapevole, informata di tutti i possibili rischi e consensuale. Poi, l'essere anti-farmaco o in generale anti-droga (come me) è una scelta personale che esula dall'antipsichitria. Da oltre 4 anni ho scelto consapevolmente di non assumere alcun farmaco, nemmeno un antidolorifico o un anti-infiammatorio o una banale aspirina per il mal di testa. Sono esclusi i medicinali salvavita qualora ve ne fosse bisogno e quelli a cui purtroppo non posso sottrarmi perché imposti con la forza in caso di TSO.

Mito:  I teorici dell'antipsichiatria si oppongono ai servizi professionali.

Risposta:  Non mi risulta che se qualcuno si oppone ai servizi psichiatrici nella fattispecie trattamento coatto, medicalizzazione, diagnosi e stigma perpetuo, si debba opporre a tutti i servizi professionali di altro tipo. 

Mito:  Se io sono critico della psichiatria, allora io sono antipsichiatra.

Risposta:  Io critico molto la psichiatria però nonostante ciò non mi ritengo anti-qualcosa. Certo tendenzialmente sono anti-violenza ma preferisco dire non-violento quindi non-psichiatria. Negare l'utilità della psichiatria non significa necessariamente opporvisi. Tuttavia ci sono degli aspetti della psichiatria a cui mi oppongo con forza e sono quelli coercitivi e distruttivi delle persone e della loro dignità. 

Mito:  Gli antipsichiatri  guardano dall'alto in basso le persone che prendono psicofarmaci.

Risposta:  Ma quando mai? 
Come ho detto prima agli antipsichiatri non interessa cosa si sceglie per curarsi, piuttosto interessa che chiunque sia libero di farlo come preferisce senza imposizioni. Quello che contestano è il sistema di trattamento, non la persona trattata.

Mito:  I teorici dell'antipsichiatria sono iper-critici verso le famiglie dei 'malati mentali'.

Risposta:   Semmai la famiglia potrebbe essere vista come ulteriore vittima della psichiatria, insieme al suo membro/i psichiatrizzato.
Comunque, se non vi fossero in tutto il mondo gli attivisti che si sforzano, non ci sarebbe un maggiore sostegno a disposizione delle famiglie in difficoltà. 

Mito:  Essere antipsichiatra significa essere un seguace di Thomas Szasz.

Risposta: Non credo proprio. Anche se possono condividere molte delle idee di questo personaggio. Lui stesso non si autodefiniva anti-psichiatra.
Non si può negare che molti antipsichiatri siano stati influenzati da questa persona, tuttavia l'idea stessa di essere un seguace di qualcuno va contro il modo di pensare di molti attivisti. Inoltre Szasz non era un abolizionista. 

Mito : Gli antipsichiatri sono tutti intellettuali nella loro torre d'avorio.

Risposta:  Vi immaginate gli antipsichiatri come una elite di teorici intellettuali con la puzza sotto il naso e che parlano tutti con la 'evve' moscia?
Oppure un gruppo di noglobal, che sono sempre disposti a fare casino? 
Più in generale, persone provenienti da tutti i ceti sociali gravitano e trovano una base nella comunità antipsichiatrica. Questi includono: i sopravvissuti, gli attivisti, i professionisti, gli accademici, gli artisti e i familiari.

Mito:  Essere antipsichiatra è irragionevole e poco pratico.

Risposta:  Lottare per eliminare gradualmente un'istituzione che funziona male e costituisce una minaccia per tutti non mi sembra tanto irragionevole. 
Per contro, le posizioni fondate sul continuare ad legittimare la psichiatria, quando, probabilmente, tali posizioni hanno contribuito allo stato attuale delle cose, sono minimamente messe in discussione.

Mito:  Gli antipsichiatri pensano che tutti gli psichiatri sono cattivi e negano che alcune persone vengono aiutate dai loro psichiatri.

Risposta:  Penso che l'antipsichiatria sia contro l'istituzione psichiatrica e non direttamente contro gli individui anche se non si può negare l'astio verso certi rappresentanti più intransigenti, i quali tuttavia non vanno in giro con la scorta per paura degli antipsichiatri. 
Se ho uno psichiatra con cui sono in perfetta sintonia e che mi aiuta buon per me, sarebbe come avere un buon amico, uno psicologo  o un sacerdote o chicchessia.

Mito:  I  teorici dell'antipsichiatria si oppongono ad ogni riforma psichiatrica.

Risposta:  Gli antipsichiatri sostengono che ogni riforma non può mai essere sufficente dato che i principi di base sono 'marci'. Ciò implica che ogni tentativo in tal senso venga visto come un rafforzamento dello status quo. Comunque una distinzione deve essere fatta tra "non sostenere attivamente" e "opporsi." 

Mito:  L' antipsichiatria negherebbe alle persone il diritto di proteggere se stessi contro "gli altri violenti."

Risposta:  Niente affatto. A parte che essere in una situazione di grave stress emotivo non implica necessariamente violenza, le statistiche ci dicono che non vi è differenza anzi che gli atti violenti sono attribuiti in maggior parte ai cosidetti sani rispetto a quelli considerati 'fuori di testa'. 
La violenza quando c'è è secondo me una risposta più che legittima ad una violenza istituzionale ben più grave. Qui si tratta semmai di opporsi a soluzioni che sono intrinsecamente violente. 

Mito:  L' antipsichiatra è  anti-scelta.

Risposta:  Da un punto di vista radicale, è la psichiatria istituzionale che  priva le persone di una scelta, non l' antipsichiatria. 
L'antipsichiatria è piuttosto pro-libera scelta dove questa non è influenzata da nessuno. 
Piuttosto gli attivisti dell'antipsichiatria dovrebbero  lavorare verso la creazione di una  società in cui le persone hanno molte più scelte, di conseguenza, dove i servizi nascono organicamente da esigenze sentite e desideri e non dalle vicissitudini del profitto dell'industria farmaceutica come adesso.

Mito:  Se gli attivisti dell'antipsichiatria vincessero, tutti coloro che usano psicofarmaci si ritroverebbero  privati del loro sostentamento.

Risposta:  Magari ! Scherzi a parte, non credo che a nessuno verrebbe in mente una simile situazione. Privare di colpo le persone dagli psicofarmaci potrebbe essere molto pericoloso. Sarebbe comunque auspicabile semmai una maggiore attenzione e preparazione professionale sulla dismissione degli psicofarmaci se lo si desidera. 

Mito:  I teorici dell'antipsichiatria  ignorano ciò che la storia ci insegna, cioè che se ci libereremo della psichiatria, qualche altra tirannia prenderà il suo posto.

Risposta:  I teorici dell'antipsichiatria sono ben consapevoli della storia della follia e di come un tipo di oppressione è venuto fuori da un'altra. 
Gli attivisti si  concentrano sulla psichiatria perché per secoli, è stata responsabile del trattamento della follia, inoltre perché ha ampliato enormemente senza precedenti il suo terreno di intervento. Allo stesso tempo, sono  persone che non vedono accettabile alcuna forma di tirannia, né la tirannia stessa come inevitabile, e semmai lavorano verso la creazione di una società più egualitaria.

Mito:  Gli attivisti dell'antipsichiatria sono bloccati nel passato.

Risposta:  I problemi legati alla psichiatria sono sempre più pressanti e numerosi ad ogni edizione rivista e corretta del Manuale Diagnostico Statistico (DSM) come aumentano il numero delle patologie diagnosticabili. Se tuttavia c'è qualcuno legato al passato sono proprio gli psichiatri. Non ci sono ricerche di nuovi farmaci, ogni tanto ripropognono le stesse inutili e dannose molecole in una nuova formula e una nuova veste. 
Quello che gli attivisti dell'antipsichiatria stanno facendo, in sostanza, è  invitare la gente a pensare oltre, a vedere al di là delle strutture e le concezioni che sono ora prese come "dati di fatto", e avere il coraggio di diventare più tolleranti, in modo radicalmente diverso, più umani, più rispettosi nei confronti degli altri nostri simili in difficoltà.  

Domande riprese da un articolo in madinamerica.com