Recupero

Guarire dalla malattia mentale si può? Come si può 'guarire' da se stessi?

Ma la malattia mentale esiste? Si può definire malattia un carattere, una diversa attitudine, un'emozione intensa? Purtroppo secondo la psichiatria organicista, la malattia mentale esiste ed è inguaribile, tuttavia curabile necessariamente con i farmaci, anche se non è mai stato dimostrato alcuno squilibrio chimico alla fonte né che gli psicofarmaci curino qualcosa. Numerose esperienze di 'sopravvissuti' e indagini indipendenti dimostrano invece l'esistenza di una 'trappola farmacologica' molto subdola che, lungi dal 'guarire', favorisce il mantenimento o la cronicizzazione della supposta malattia.
Questo spazio vuole dare la possibilità ai cosiddetti malati mentali di conoscere le reali implicazioni dei farmaci , di cui spesso ne abusano, di riflettere sulla propria condizione, di acquisire nuove conoscenze diventando capaci di riprendersi il controllo della propria vita e delle proprie emozioni.
Si potrà 'guarire' soltanto quando ci allontaneremo dal nostro punto di vista limitato per abbracciare il problema nella sua globalità, con un approccio di tipo olistico.

Attenzione: È potenzialmente pericoloso dismettere psicofarmaci senza un'attenta pianificazione. È importante essere bene istruiti prima di intraprendere qualsiasi tipo di interruzione di farmaci. Se il vostro psichiatra accetta di aiutarvi a farlo, non date per scontato che sappia come farlo al meglio, anche se dice di avere esperienza. Gli psichiatri non sono generalmente addestrati sulla sospensione e non possono sapere come riconoscere i problemi di astinenza. Numerosi problemi di astinenza sono mal diagnosticati come problemi psichiatrici. Questo è il motivo per cui è bene educare se stessi e trovare un medico che sia disposto ad imparare con voi. In realtà tutti i medici dovrebbero essere sempre disposti a fare questo ai loro pazienti che lo desiderano.

martedì 27 maggio 2014

Tre casi esemplari

Non credo nei miracoli, ma nelle straordinarie capacità di guarigione del corpo umano si. Ecco qui tre pezzi di vita, tre casi esemplari. Ma chissà quante altre storie simili sono tenute nascoste per paura dello stigma e per il timore di tornare prede della psichiatria ottusa e coercitiva. 
Penso anche e soprattutto a quella moltitudine di persone che hanno la loro vita irrimediabilmente compromessa da quello che con eufemismo viene chiamata cura. 

Quello che hanno in comune queste storie non è niente di straordinario; semplicemente queste persone sono resuscitate ad una vita normale smettendo di 'curarsi' per una presunta malattia inguaribile e terribile come la schizofrenia. 
Può darsi che siano casi molto rari di errata diagnosi, come vorrebbe farci intendere la psichiatria, ma cosa direbbero invece tutte quelle persone che sono tornate dall'inferno e ora si definiscono sopravvissuti psichiatrici? 
Cosa direbbero per esempio il 90% dei 6000 'schizofrenici' curati e guariti dal grande Abram Hoffer?
Esiste l'atroce sospetto che in nome di non si sa bene cosa, forse soldi o forse solo per diabolica consuetudine la psichiatria con queste 'cure' garantisce di fatto a milioni di persone nel mondo una vita indegna nella disabilità  e favorisce una morte precoce di 25 anni in meno rispetto alla media. 



I - Resoconto breve


Nel 2008 ho pubblicato lo studio di un caso sulla rivista online,  Casi pragmatici in psicoterapia, che è disponibile a titolo gratuito, di un uomo diagnosticato come schizofrenico senza speranza da parte di tutti gli psichiatri che lo avevano visitato. Essi hanno insistito che l'elettroshock era la sua unica speranza, anche se probabilmente non lo avrebbe aiutato. Sua moglie ha avuto il coraggio di dire di no, tirarlo fuori dall'ospedale, e portarlo nel mio ufficio. Era continuamente allucinato, non mangiava e non dormiva. Dopo aver tolto tutti i farmaci, e fornendo terapia psicoanalitica, il paziente è migliorato al punto di essere in grado di lavorare a un lavoro intellettualmente impegnativo entro sei mesi. Ha continuato la psicoterapia per raggiungere i propri obiettivi di vita di essere un professore di prima classe del college, un intellettuale creativo di prim'ordine, un marito di prim'ordine, e un padre di prim'ordine. Ho pubblicato il caso per sfatare il mito che tali pazienti sono incurabili e non migliorano. (DR: B. Karon Phd)



II - Una sopravvissuta

Sola a casa. Tre volte al giorno conto le mie gocce di Haldol. Non faccio molto altro. Siedo nella mia sedia con lo sguardo diretto verso la finestra. Non ho sensibilità per quel che succede fuori. Trovo difficoltà a spostarmi.
Ciononostante sono abile ad alzarmi ogni giorno. Non mi accorgo che l'appartamento sta diventando sporco. Non è necessario che io cucini sempre.
Non mi lavo. Non mi chiedo neppure se puzzo. La mia miseria avanza - ma io non me ne accorgo.

Vegeto dentro le mie pareti neurolettiche, sono chiusa fuori dal mondo e dalla vita. Il mondo reale è altrettanto più lontano da me che Plutone dal Sole. Il mio mondo personale segreto - il mio ultimo rifugio, l'ho raggiunto, ma l'ho distrutto con l' Haldol.

Questa non è la mia vita. Questa non sono io. Starei ugualmente bene morta.
Un'idea ha incominciato a prendere forma: prima che la primavera sopraggiunga mi voglio appendere.



Ma prima di ciò voglio provare a vedere se la mia vita sarebbe differente senza l' Haldol. Ridurrò il numero delle gocce . Ne prenderò sempre di meno fino ad arrivare a zero.

Dopo un mese sono pulita. Allora incomincio ad accorgermi quanto sono trascurata. Mi lavo i capelli, rifò il letto, apro l'appartamento. Mi preparo un pasto caldo. Provo anche  piacere a fare questo. Posso di nuovo pensare.
(Regina 2002)


III - Il caso del "Guarito da Una Parola"

Come la psichiatria falsifica la cartella clinica per promuovere il mito di incurabilità
Di Richard F. Gottlieb, RSU


Quando ero studente al primo anno di laurea al lavoro nel sociale, ho avuto un collocamento in un ambulatorio psichiatrico di un ospedale generale.  Uno psichiatra fu fatto venire dalla California per fornire formazione agli studenti e al personale a tempo pieno.  Aveva la reputazione di un ottimo diagnosta.  Avevo già lavorato nel settore prima di finire la scuola, ero stato ben addestrato, e non vedevo l'ora di vedere la diagnostica "eccellente" di questo psichiatra.

Egli ci fece guardare attraverso uno specchio unidirezionale mentre  stava intervistando  un nuovo paziente.  Dopo che il paziente se ne fu andato, ci riunimmo per discutere l'intervista e sentire la sua diagnosi.

Questo paziente era un uomo di 62 anni che era stato riconosciuto a livello nazionale per le sue realizzazioni professionali come educatore di scuola superiore fino a quando, all'età di 55 anni, subì un completo crollo mentale. Successivamente perse il suo lavoro, smise di lavorare a un libro che stava scrivendo, fu allontanato dalla moglie, si trasferì in un appartamento da solo, e vide il proprio figlio adulto ricoverato in ospedale  psichiatrico con una diagnosi di schizofrenia.  

Il paziente aveva visto uno psichiatra negli ultimi 7 anni, che gli aveva prescritto neurolettici, e ora erano  visibili i seguenti sintomi: affettività piatta, scialorrea,   articolazione verbale poco chiara, piegato sopra la postura, scarsa igiene, deliri, stati emotivi irregolari che vanno dal quasi-catatonico all' agitato - frenetico, costipazione cronica e grave, senza contatto oculare, sguardo vuoto,  incapacità di relazionarsi con gli altri.

Dopo aver descritto la dinamica del colloquio e dei dati raccolti, lo psichiatra dichiarò che questo uomo era "maniaco-depressivo, psicotico".  Poi continuò dicendo "... naturalmente questo disturbo è incurabile ..."  egli avrà bisogno di farmaci per tutta la vita  con poche speranze di miglioramento, solo mantenimento.  Io, molto più giovane di lui alzai la mano e chiesi allo psichiatra come si potrebbe raggiungere la conclusione di incurabilità sulla base di un'intervista di 45 minuti.  La sua risposta fu che la sua esperienza e la letteratura  sostenevano la sua posizione.

Avevo lavorato con i bambini autistici, considerati anch'essi incurabili,  sapevo che la capacità di guarire risiedeva all'interno del paziente e che fosse richiesta solo una relazione con una persona in grado di entrare in empatia col paziente al fine di promuovere la loro capacità di guarire.  Suggerii che era il caso di fare una dichiarazione basata non su dati raccolti dal paziente, ma presi invece dalle opinioni di altri professionisti del settore, non soltanto psichiatri.  A quel punto si voltò verso il gruppo e li informò che sarebbe tornato tra 6 mesi per una verifica della formazione  e che questo paziente venisse assegnato a me per curarlo, e che potessi infine riferire sugli sviluppi quando lo psichiatra sarebbe ritornato.  Accettai quello che doveva essere una sfida semplicemente come un rinvio e lo ringraziai.  

Fui introdotto al paziente come il suo nuovo terapeuta, e fissammo il nostro prossimo incontro, il nostro primo appuntamento pieno, al successivo Martedì mattina alle ore 10:00.

Il giorno stabilito, incontrai il paziente in sala d'attesa e lo  invitai nel mio ufficio.
Dopo la seduta, il signore mi chiese, con voce lenta e strascicata e una grande quantità di bava, se mi poteva telefonare nell'intervallo tra le nostre sessioni.  Gli chiesi di dirmi il motivo di questa richiesta così importante. Mi rispose che il suo psichiatra in sette anni, aveva sempre ammesso queste chiamate.  Gli suggerii a questo punto che se la sua condizione attuale era il risultato di un trattamento che includeva queste chiamate, allora la risposta sembrò presentarsi entro il contesto della sua domanda.   Allora risposi "No", perché mi sembrava che l'urgenza della sua richiesta suggerisse che si trattava di una questione molto importante, e che avremmo bisogno di esplorare ulteriormente i suoi significati e le implicazioni prima di qualsiasi decisione per colmare il tempo tra un appuntamento e l'altro.

Quella parola, "No", sembrava cambiare tutto.  Il paziente con la testa china, chiuse gli occhi e quando io finii di parlare disse: "Cosa?" con una voce piuttosto forte e più chiara di prima.  Gli spiegai che c'erano due ragioni per la mia risposta: in primo luogo, la possibilità di chiamare tra le sessioni non sembrava aver avuto un effetto benefico su di lui nei precedenti 7 anni e poi, che il nostro lavoro insieme poteva essere meglio realizzato nel contesto del faccia a faccia tra lui ed io.

L'uomo si alzò in piedi, più dritto  di prima, e disse di andarsene.
Anche se rimasi sorpreso di questo cambiamento, gli dissi che andava bene, poteva andarsene quando voleva, e che io lo avrei rivisto al prossimo appuntamento il Martedì successivo alle 10:00.  Senza risposta verbale aprì la porta e uscì sbattendo la porta dietro di sé.  Nella  mia nota per la sessione  scrissi: "Si comincia ad affrontare la depressione come dimostrano i pazienti che esprimono rabbia verbale e comportamentale. "

Circa 5 minuti più tardi ci fu un forte bussare alla mia porta, aprii, c'era il signore stesso.  Indicando in fondo al corridoio  disse: "Ho appena lasciato un grande "turd" per lei nel gabinetto". Risposi gentilmente ricordandogli che avremmo parlato di nuovo Martedì prossimo alle ore 10:00, quindi se ne andò.  Tornai alle mie note sulla sessione e aggiunsi: "si comincia ad affrontare la costipazione."

L'ho trattato per quattro mesi, durante i quali gli furono tolti i farmaci neurolettici dal suo medico di famiglia.  Ho chiesto al mio supervisore clinico di unire le sessioni  finali al fine di confermare la crescita e la cura che stavo vedendo nel paziente.  Dopo quei mesi si era fisicamente e psicologicamente trasformato da un uomo distrutto ad un distinto, erudito individuo che era stato riassunto alla sua posizione di insegnante al liceo, si era riunito con la moglie, aveva portato suo figlio a casa per ottenere il trattamento ambulatoriale, e aveva ripreso a scrivere il suo libro.  Tutti i suoi sintomi fisici erano spariti, e nella seduta di commiato, mi disse che era tentato di ringraziarmi per il mio aiuto, ma si rese conto che era lui che aveva fatto tutto  il lavoro di recupero, e poi mi disse, con un caldo sorriso  che se mai dovessi dire "No" ad un altro paziente  arrabbiato come  lui, che era meglio  fossi sicuro di avere una buona assicurazione per il ricovero.  Gli risposi che avrei potuto dare un senso alla sua rabbia intensa quando abbiamo iniziato, e mi è stata offerta come una cassaforte da aprire per la rabbia, e che non avrei lasciato che mi facesse del male.
Ci stringemmo la mano, mentre i miei occhi si inumidivano, e poi via, pronto ad andare avanti con la sua vita.

Due mesi dopo la dimissione, lo psichiatra tornò e mi chiese di dare una relazione sul paziente "incurabile".  Il mio supervisore veterano confermò ogni dettaglio della mia relazione, conclusa  con l'affermazione che il paziente era ora guarito dalla malattia.  Lo psichiatra si appoggiò allo schienale in pelle della sedia da ufficio, ci fu silenzio nella stanza.  Lentamente, si mise le mani dietro la testa, poi si sporse in avanti e annunciò: "Beh, è la prima volta che questo sia mai accaduto."  In quel momento, le immagini di me con  pubblicazioni e premi, in modo incontrollabile arrivarono come un lampo nella mia testa.  Per la prima volta, con evidenza corroborata da un altro professionista, un paziente psicotico maniaco-depressivo,  era stato guarito.  Mi immersi nella luce della mia fantasticherie di riconoscimento professionale.

Poi, lo psichiatra continuò, con una dichiarazione non ho mai dimenticato."Questa è la prima volta che ho fatto una diagnosi sbagliata.  Ovviamente l'uomo non aveva la psicosi maniaco-depressiva, perché è incurabile e quest'uomo è guarito.  Dovrò modificare la sua cartella."  E così fece.

Ho lavorato nel campo per altri 39 anni e da quel giorno ho continuato a trattare le persone in base all'esperienza della relazione, a cui ho tentato di rispondere terapeuticamente.  Cerco il modo in cui posso muovermi insieme a lei o lui nel loro cammino inesorabile verso la salute.

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