Recupero

Guarire dalla malattia mentale si può? Come si può 'guarire' da se stessi?

Ma la malattia mentale esiste? Si può definire malattia un carattere, una diversa attitudine, un'emozione intensa? Purtroppo secondo la psichiatria organicista, la malattia mentale esiste ed è inguaribile, tuttavia curabile necessariamente con i farmaci, anche se non è mai stato dimostrato alcuno squilibrio chimico alla fonte né che gli psicofarmaci curino qualcosa. Numerose esperienze di 'sopravvissuti' e indagini indipendenti dimostrano invece l'esistenza di una 'trappola farmacologica' molto subdola che, lungi dal 'guarire', favorisce il mantenimento o la cronicizzazione della supposta malattia.
Questo spazio vuole dare la possibilità ai cosiddetti malati mentali di conoscere le reali implicazioni dei farmaci , di cui spesso ne abusano, di riflettere sulla propria condizione, di acquisire nuove conoscenze diventando capaci di riprendersi il controllo della propria vita e delle proprie emozioni.
Si potrà 'guarire' soltanto quando ci allontaneremo dal nostro punto di vista limitato per abbracciare il problema nella sua globalità, con un approccio di tipo olistico.

Attenzione: È potenzialmente pericoloso dismettere psicofarmaci senza un'attenta pianificazione. È importante essere bene istruiti prima di intraprendere qualsiasi tipo di interruzione di farmaci. Se il vostro psichiatra accetta di aiutarvi a farlo, non date per scontato che sappia come farlo al meglio, anche se dice di avere esperienza. Gli psichiatri non sono generalmente addestrati sulla sospensione e non possono sapere come riconoscere i problemi di astinenza. Numerosi problemi di astinenza sono mal diagnosticati come problemi psichiatrici. Questo è il motivo per cui è bene educare se stessi e trovare un medico che sia disposto ad imparare con voi. In realtà tutti i medici dovrebbero essere sempre disposti a fare questo ai loro pazienti che lo desiderano.

sabato 24 novembre 2018

Come aiutare chi ha intenzioni suicide

Ecco un' esperta dell'aiutare chi ha intenzioni suicide. Kelly è una psichiatra 'anomala' non convenzionale  che lavora aiutando i suoi pazienti a scalare e smettere gli psicofarmaci. Dalla sua esperienza nel campo si evince intanto una cosa molto importante: cioè  che il terrore che hanno gli psichiatri della malattia mentale rispetto al pericolo del togliersi la vita con le proprie mani, se non 'curati', non ha alcun fondamento. Per essere più specifico, non ha fondamento il nesso che intercorre tra l'abbandono dei farmaci e il rischio suicidio a patto che la dismissione venga fatta come si deve, con un cono lento e sotto stretto controllo medico. Kelly ha scoperto quello che ho sempre sostenuto anche io, che semmai il suicidio è più probabile sotto terapia psichiatrica. Infatti a questo proposito scrive: 
"E 'mia convinzione che i farmaci psicotropi possono sposare l'impulsività e l'agitazione con una rottura misteriosa nella coscienza, in modo che questi atti di auto-sterminio abbiano un  senso e siano spesso completati." 
Quindi tali farmaci 'diabolici' che  dovrebbero salvare le persone dal farsi fuori, ottengono paradossalmente l'effetto inverso di incrementare le azioni suicide portate a compimento, ove non ci sarebbero state se tali farmaci non fossero mai stati usati in primo luogo. In effetti non si spiegherebbe altrimenti perché i suicidi sono così in aumento nonostante queste  'cure' miracolose. Per approfondire tale questione consiglio la lettura dei due articoli precedenti.

Un'altra cosa importante da sapere è il modo corretto di aiutare chi manifesta intenzioni suicide. L'aiuto che oggi vige in tutti i gruppi virtuali e non di psichiatrizzati in casi di emergenza riguarda l'avvertire le autorità del pericolo e trascinare la persona nelle fauci della psichiatria, senza capire che così facendo non solo non si risolve il problema della tendenza suicida, (al limite si rimanda soltanto)  ma si aggravano ancora di più il sentimenti di ostilità dell'interessato/a verso le istituzioni sanitarie. Si aggrava il disagio , la presunta patologia , il senso di inutilità e di conseguenza la voglia di farsi fuori. Ho già accennato qui della triste statistica dell'aumento enorme della probabilità di suicidio dopo un ricovero coatto. 

Queste linee guida nate dall'esperienza di Kelly ritengo che siano molto preziose per  tutte quelle persone che hanno a che fare con questo problema sia dalla parte di chi deve aiutare  che dalla parte della 'vittima' di questa insana tendenza. 



Come aiutare qualcuno che vuole suicidarsi
di Kelly Brogan, MD
27 giugno 2018

Siamo stati condizionati a considerare il tema del suicidio con orrore. Forse perché rappresenta un fallimento dei nostri vari sistemi di controllo. Forse perché siamo, collettivamente, lungi dall'essere in pace con la complessità della morte come parte dell'esperienza umana. Forse perché dobbiamo far finta che non abbiamo mai sentito nulla di simile personalmente  al fine di mantenere l'illusione che l'esperienza del suicidio sia patologica.

La suicidalità non è una cosa. E non è un sintomo di una malattia genetica. Non è rara. E non è semplicemente un desiderio di porre fine alla propria vita.

Al college del MIT, ho lavorato come volontaria a un numero verde di emergenza suicidio chiamato Nightline e ho trascorso molte notti al telefono con la gente sull'orlo del baratro.

Ho imparato che i pensieri suicidi possono essere un desiderio di scomparire, di non essere invece di essere. Possono essere una crisi di fede e una percezione forte che tutto è sbagliato. Possono essere un profondo combattimento a mani nude con sè stessi per capire se  l'universo è fondamentalmente un luogo benevolo o un luogo ostile. Possono essere la convinzione bloccata sull'assunto che le cose saranno sempre esattamente come lo sono ora.

Credo che la suicidalità possa essere un'espressione, quasi un requisito di urgenza per un  cambiamento che deve essere soddisfatto con la promessa che tale cambiamento sia possibile. Questi sentimenti esprimono la necessità di una profonda trasformazione che sentiamo come una rinascita, piena di dolorose doglie  di angoscia e di sopraffazione. Si tratta di un grido che dice: “Questo modo di essere, di vivere, non  può andare avanti un secondo di più !!!”

Suicidalità come un sintomo del risveglio

"So che avete aiutato un sacco di gente, ma non riesco proprio a non farlo. Ho finito. Non ho nulla, la mia vita è stata una lotta e sofferenza e ho bisogno  di farla finita".

E faceva sul serio. Sonia aveva trascorso sei mesi dalla sua ultima dose di Effexor, un farmaco che aveva preso da quando aveva 15 anni. Ora ne aveva  42.

In ogni momento, circa il 30% della mia pratica consiste nell'aiutare chi è attivamente suicida. Loro sanno che sono tutto sommato tranquilla. Sanno che non ho mai chiamato il 911. Non  gli ho mai dato dei tempi per rimandare l'azione. Neanche mai elaborato alcun 'contratto' , promessa scritta, non scritta, nota. Non ho mai nemmeno per  un secondo implicitamente detto o fatto capire che non hanno quello che serve per muoversi attraverso la crisi.

Sanno che non ho paura di loro o dei loro sentimenti.

Piuttosto, vedo che qualcosa in loro ha bisogno di morire in modo da rinascere e che questo è il loro innalzamento della bandiera bianca. Questa resa è la fine della fine e l'inizio degli inizi, se solo lasciamo che il dolore venga fuori, e sia lasciato andare. E succede. Si muove. Cambia. E spesso, ciò che viene fuori dalla sua scia è esattamente il tipo di cambiamento che non potrebbe mai essere stato prescritto,  insegnato, o suggerito. E' una profonda crescita spirituale.

Nel mio processo di dismissione dei farmaci con i pazienti,  li preparo prima per rafforzarli fisicamente, attraverso un un mese di impegno per la cura di sé. Io dico loro che sono qui per contribuire a sostenere la resilienza del  loro corpo allo stress e offrire  un processo di dismissione il  più possibile libero  da eruzioni cutanee, perdita di capelli, anomalie mestruali, scosse elettriche,  dolori del corpo, e tutta la miriade di segni corporei di astinenza dalle sostanze psicotrope. Ma io non sono qui per rendere più facile o addirittura tollerabile il percorso  a livello psico-emotivo. Questo perché so che la trasformazione è una parte necessaria dell' alchimia di un cono di riduzione di successo. La parte di coloro che hanno creduto nel farmaco deve essere affrontata e abbandonata. Ma quella parte raramente se ne va in silenzio.

La trasformazione richiede la morte di un vecchio sé. Di vecchie credenze. Di vecchie forme di sicurezza e di identità. La trasformazione è disorientante e anche terrificante.

Psicologia della  suicidalità farmaco-indotta

Il processo di trasformazione riflette la consapevolezza di trovarsi alle prese con pensieri suicidi. Questi pazienti interagiscono con le più esistenziali domande sull'essere o non essere. Ma le sostanze psicotrope possono anche indurre  violenza impulsiva contro di sé . Ogni volta che sento parlare nei media  di un suicidio completato, il mio primo pensiero è: “ Che cosa stavano assumendo ?” Come nel caso del marito di Kim Witzack , Woody, che non si era  mai sentito suicida un solo giorno nella sua vita é stato trovato impiccato nel loro garage cinque settimane dopo l'inizio dello Zoloft, i farmaci psichiatrici hanno una capacità poco conosciuta di indurre una dissociazione dell'anima. In realtà, molti di coloro che tentano il suicidio  nel contesto di una impulsività  di acatisia indotta descrivono un senso di distacco dal loro corpo per andare a impiccarsi.

E 'mia convinzione che i farmaci psicotropi possono sposare l'impulsività e l'agitazione con una rottura misteriosa nella coscienza, in modo che questi atti di auto-sterminio abbiano un  senso e siano spesso completati.

Nella loro descrizione dei farmaci psichiatrici come sostanze chimiche influenti, Moncrieff e Cohen hanno detto: “... gli psicofarmaci sono, in primo luogo, droghe psicoattive. Essi inducono complessi vari stati fisici e mentali, spesso imprevedibili che i pazienti tipicamente ne hanno esperienza globale, piuttosto che distinti effetti terapeutici ed effetti collaterali.” 

Come aiutare nel momento della crisi

1. Dimostrare e far vedere che è possibile
Come direbbe Biggie: “Se non si conosceva, ora lo sapete.” E 'particolarmente importante far conoscere la possibilità di recupero senza farmaci a coloro che li stanno prendendo o hanno recentemente iniziato a prenderli  e si sentono suicidi. Condividere video di guarigione radicale, molti dei quali raffigurano storie di suicidalità. Assicurarsi che quelli che lottano sappiano che la suicidalità può essere una parte integrante dell'esperienza di auto-guarigione, e che muovendosi attraverso il cambiamento può portare a qualcosa di così grande e  molto di più incredibile di quanto la loro mente impaurita gli può mostrare in questo momento.

2. Non avere timori.
Controllare il proprio bagaglio sulla porta, per favore. Preoccupazione, essere in pensiero, in pena  sono le mie parole meno preferite, sai perché? Perché quando ti preoccupi di qualcuno, riversi la tua paura non metabolizzata nel loro  grembo già pieno. Quando siamo in crisi, abbiamo bisogno di stare alla luce della possibilità. Abbiamo bisogno di trasmettere due cose: “Sta andando tutto a posto” e “Hai presente”; Invece che dire:  “Sono preoccupato per te” e “sto andando a chiamare la polizia” una escalation basata sulla paura di questa situazione delicata, non aiuta la persona in crisi. Né aiutano più farmaci, ovvero l'inevitabile risultato di un intervento professionale.

3. Ascolto.
Non sapevate che la guarigione può nascere dal sentirsi osservati e ascoltati? Molti di coloro che sono in lotta suicida hanno un senso di invisibilità esistenziale, nella migliore delle ipotesi e una profonda vergogna nel peggiore dei casi. Si sentono male dentro, forse in modo permanente. Si sentono come eccezioni, alieni, mostri dell'esperienza umana che semplicemente non può incidere su nulla. Un antidoto inaspettato a questa sensazione è aver recepito la loro realtà, tranquillamente e completamente. Questo è quello che abilita perché, attraverso di voi, possono avere un'esperienza vissuta della possibilità che la loro verità più brutta non lo è poi troppo. Non è grottesco. Si può vedere che si può gestire, ricevere e riflettere indietro a loro che li hai veramente ascoltati e capiti. Lasciare spazio per le pause, raggiungere una mano se ci si sente bene, e se sono aperti a un “esercizio”, impostare un tempo di tre minuti cercando solo di mantenersi bloccato lo sguardo negli occhi. Sembra strano, ma è il modo più veloce che conosco per cadere nel cuore e nella mente. Può bastare anche un minuto, che sono suscettibili di avere un rilascio emozionale di qualche tipo da questa semplice esperienza.

4. Normalizzare e contestualizzare l'esperienza.
Finora, avrete notato che non ho consigliato di parlare molto, di fare  consulenza, oppure  orientamento. Infatti, quando qualcuno è in questo tipo di stato nella paura, con le loro ferite che rischiano emorragie da tutte le parti, non hanno accesso al loro corteccia prefrontale “razionale”, la capacità gestionale del cervello, perché sono nel loro sistema limbico rettile. Meglio perciò usare frasi semplici, il modo in cui si parla ad un bambino per calmarlo  (senza essere condiscendente). Può anche essere utile parlare per immagini. I simboli sono potenti, in modo da normalizzare questo punto di flessione nella loro vita con l'invocazione dell'immagine di una metamorfosi. Fare riferimento al modo in cui un bruco deve sentirsi, tutto appiccicoso e disorientato nel buio prima che venga fuori dal buco stretto di una crisalide per rinascere come farfalla.

Ai miei pazienti che stanno facendo un percorso di dismissione dei farmaci dico: "questo è come vi sentirete, il cambiamento è confuso, travolgente, e spesso terrificante. Il vostro ego odia cambiare ed è probabile che andrete fuori di testa perché sa che una parte di esso può essere in procinto di trasformarsi. E dovrete sentirvi in questo modo, al fine di stabilire nuove tracce per un'esperienza radicalmente ampliata.

5. Trovare un significato.
Se conosci bene questa persona, si potrebbe invocare il potere di costruire un significato. Ho potuto osservare che la sofferenza finisce dove inizia il significato. E che al di là della normalizzazione, la natura archetipica di auto-iniziazione e trasformazione che i sentimenti di suicidalità possono invocare, il significato di questo particolare frangente della loro vita può portare grande organizzazione e consolazione per il caos emotivo.

Cosa ne sappiamo di loro,  di cosa hanno bisogno di lasciar andare? Cosa ne sappiamo di quello che che non funziona? Si può riflettere sul fatto che siano in grado di gestire la situazione e che sono pronti a passare attraverso la parte stretta del canale del parto? Quali programmi, credenze e voci li stanno criticando? Puoi incoraggiarli a rivolgersi verso il dolore e personificare il loro bambino interiore, o anche solo un bambino piccolo dello stesso  genere, terrorizzato e confuso?

Spesso la “parte” suicida di qualcuno è la voce critica dei genitori interiorizzata che li ammonisce con epiteti che inducono vergogna. Quando noi individuiamo l'energia dai nostri genitori , quando cerchiamo di recuperare il nostro potere e guardiamo vecchi schemi che non servono più, spesso questa voce punitiva infuria ... semplicemente perché sa che può essere messa a tacere per sempre.

6. Ricorda a loro che semplicemente 'sentono'.
Noi occidentali, abbiamo poca esperienza con i sentimenti. In realtà, ci terrorizza incontrare la potenza pura di emozioni sfrenate come la rabbia, il dolore e la vergogna. Noi cerchiamo di evitare tali sensazioni che sottendono e definiscono i nostri stili di vita odierni di dipendenza. Ma cosa succede se qualcuno che si sente come se non dovesse sopravvivere un giorno di più, fosse semplicemente una sentinella di un nuovo tipo di umanità? E se tutti noi stessimo andando ad acquisire un nuovo tipo di coraggio, per le nostre parti oscure? E 'possibile che il dolore che sentono sia tutto il nostro dolore  e che il resto di noi la fuori siamo semplicemente intorpiditi.

Ricordargli, però, che loro semplicemente provano un sentimento; probabilmente un antico sentimento che gli è stato detto non erano sicuri di trovare presto nella loro vita. I sentimenti sono energia  che, per definizione, trasformano e portano ad un cambiamento.

Incoraggiarli a riflettere sul l'ultima volta che si sono sentiti schiacciati dl dolore dell'anima. Ciò ha provocato una  trasformazione? Naturalmente lo ha fatto. E una volta che è accaduto, abbiamo  l'esperienza vissuta per  attingervi la  volta successiva che la vita ci mette in ginocchio, in modo da non provare di nuovo questa accecante sofferenza. E' come l'esperienza di una donna che partorisce naturalmente; quasi ogni donna che partorisce vuole arrivare prima possibile al momento in cui la testa del bambino è sul punto di emergere. E poi il bambino nasce.

Una parte importante del sentire profondamente è riconoscere che non abbiamo controllo. Per sentire veramente, dobbiamo arrenderci al sentimento. Nel momento in cui lo facciamo, si rilascia. Ma se lo blocchiamo o lottiamo con esso,  abbiamo uno stallo della resistenza in grado di generare una sorta di miseria che porterebbe qualcuno a voler rinunciare. Quindi incoraggiare queste persone a dire : “Sì, ok,” al sentimento come punto di partenza.

7. Incoraggiare ad aiutare gli altri
Questo non può fare presa su tutti i tipi, ma certamente mi ha personalmente aiutato nei miei momenti più oscuri. Quando sono stata sull'orlo, ho avuto grande conforto nel fatto che la semplice esperienza del mio stesso dolore mi avrebbe aiutata ad aiutare gli altri in futuro. Questo è perché non v'è alcuna scorciatoia per l'empatia. Non si può prendere un diploma su di essa, non è possibile guardare l'esperienza di qualcun altro. Dovete stare nel fango e vedere che cosa è che sporca e  come ci si sente in realtà. E poi, come un dono duraturo, sarete per sempre profondamente legati agli altri che visitano quel luogo  dove vi trovavate. Si diventa così il 'guaritore ferito'.

Non può essere una coincidenza o un caso che molti di coloro che recuperano completamente dalla psichiatria vanno a servire gli altri in veste di guaritori. Ho dovuto creare un braccio di supporto tra pari della mia zona, semplicemente perché questi individui volevano sdebitarsi, e ho riconosciuto i diamanti che avevano raccolti dalle proprie miniere di carbone.

 Quelli che possono trasformare la loro tendenza al suicidio in un servizio per gli altri  sono alcune delle più potenti fonti di guarigione su questo pianeta.

8. Offriamo supporto con gentilezza.
Il linguaggio è potente . Ecco perché siamo stati così attenti  fino a questo punto. Se si riuscirà ad offrire a queste persone uno scorcio di benessere, si potrebbe desiderare di dare loro qualcosa per portarli attraverso i seguenti passi. Un semplice mantra come “io posso fare questo” o “Sto bene”, oppure “Ho intenzione di sentirmi presto differente”, da ripetere centinaia di volte ogni ora possono contribuire a creare le condizioni per un cambiamento di prospettiva. Allo stesso modo, incoraggiarli a visualizzare se stessi senza questo dolore opprimente, guariti, forte da invocare la potenza di un vedere la potenzialità di essere. Un esercizio di intercettazione per i pensieri suicidi, una meditazione per la crisi , e / o rimedi floreali per la notte oscura possono anche essere una linea secondaria di supporto dopo aver stabilito una connessione.

Facciamo evolvere la conversazione sul suicidio

Anche se non avete qualcuno vicino a voi alle prese con questo tipo di problema, apritevi a una nuova prospettiva sui sentimenti suicidi. Dobbiamo, come collettività, riorientarsi intorno alla crisi del sé e maturare al di la delle nostre abitudini disfunzionali e incoscienti. Insieme, saremo in grado di trattenere gli individui che hanno canalizzato la profondità del loro dolore e aiutarli a trasformarla. Siamo in grado di mostrare loro che c'è un altro modo senza farmaci di accettare se stessi e che non v'è precedente per quello che sembra di liberarsi dalla psichiatria, le sue etichette, e prodotti chimici modificatori di coscienza. Abbiamo bisogno di andare verso questo elefante nella nostra stanza socioculturale e fare spazio ai sentimenti oscuri,  farli sentire senza necessariamente considerarli prove dell'andare fuori di testa, da calunniare o patologizzare. Quando i sentimenti sono veramente sentiti e accettati, perdono la capacità di tradursi in violenza.

Fonte: madinamerica.com

giovedì 15 novembre 2018

Felicità forzata e suicidio: cosa siamo diventati?

Come ho scritto nell'articolo precedente continuo con lo stesso tema anche per questo nuovo articolo. Non credo sia necessario aggiungere altro ai pensieri che seguiranno e a quello che ho già scritto in merito. Vorrei però inserire in questo preambolo un brano del grande scrittore e poeta  Hermann Hesse, a posteriori etichettato  'bipolare' da esimi psichiatri. Questi brani provengono da un suo famoso romanzo intitolato 'Il lupo della steppa'. 

"A questo punto dobbiamo osservare che è errato definire suicidi solamente coloro che si uccidono davvero. Tra questi ci sono anzi molti che diventano suicidi quasi per caso e il suicidio non fa necessariamente parte della loro natura. Tra gli uomini senza personalità, senza un'impronta marcata, senza un forte destino, tra gli uomini da dozzina e da branco ce ne sono parecchi che commettono suicidio senza per questo appartenere per carattere al tipo dei suicidi, mentre viceversa moltissimi di coloro che vanno annoverati per natura fra i suicidi, anche forse la maggior parte, effettivamente non attentano alla propria vita. Il "suicida" (Harry era uno di questi) non occorre che abbia uno stretto rapporto con la morte: lo si può avere anche senza essere suicidi. Ma il suicida ha questo di caratteristico: egli sente il suo io, indifferente se a ragione o a torto, come un germe della natura particolarmente pericoloso, ambiguo e minacciato, si reputa sempre molto esposto e in pericolo, come stesse sopra una punta di roccia sottilissima dove basta una piccola spinta esterna o una minima debolezza interna per farlo precipitare nel vuoto. Di questa sorta di uomini si può dire che il suicidio è per loro la qualità di morte più probabile, per lo meno nella loro immaginazione. La premessa di questo stato d'animo che appare tale fin dalla giovinezza e accompagna costoro per tutta la vita, non è già una deficienza di energie vitali, ma, al contrario, fra i "suicidi" si incontrano nature straordinariamente tenaci, bramose e persino ardite. Ma come esistono complessioni che nelle più lievi malattie tendono alla febbre, così coloro che chiamiamo "suicidi" e sono sempre molto sensibili, hanno la tendenza, alla minima scossa, a darsi intensamente all'idea del suicidio. Se possedessimo una scienza coraggiosa, con la responsabilità di occuparsi dell'uomo invece che del meccanismo dei fenomeni vitali, se avessimo, diciamo, un'antropologia, una psicologia, questi fatti sarebbero noti a tutti.
Ciò che abbiamo detto dei suicidi riguarda beninteso soltanto la superficie, è psicologia, vale a dire un settore della fisica. Dal punto di vista metafisico la faccenda è diversa e assai più limpida 
perché qui i "suicidi" sono affetti dalla colpa  dell'individuazione, sono quelle anime che non considerano scopo della vita il perfezionamento e lo sviluppo di se stesse, bensì il dissolvimento, il ritorno alla Madre, il ritorno a Dio, il ritorno al Tutto. Tra costoro moltissimi sono assolutamente incapaci di commettere realmente il suicidio, perché lo considerano peccato. Ma per noi sono pur sempre suicidi perché vedono la redenzione nella morte invece che nella vita e sono pronti a buttarsi via, ad abbandonarsi, a spegnersi e a ritornare all'inizio.
Come ogni forza può (in certe circostanze deve) diventare una debolezza, così viceversa il suicida tipico può fare della sua debolezza apparente molte volte una forza e un sostegno, anzi lo fa molto spesso. Uno di questi casi era quello di Harry, il lupo della steppa. Come migliaia di suoi pari egli faceva dell'idea che la via della morte gli era sempre aperta davanti a sé non solo un giuoco di fantasia giovanile e malinconico, ma  precisamente un conforto e un appoggio. E' vero che, come in tutti gli uomini di questo genere, ogni commozione, ogni dolore, ogni penosa situazione della vita suscitava in lui il desiderio di sottrarvisi con la morte. Ma a poco a poco questa inclinazione gli si tramutò in una filosofia favorevole alla vita. L'assiduo pensiero che quell'uscita di soccorso era continuamente aperta gli dava forza, lo rendeva curioso di assaporare dolori e malanni, e quando stava proprio male gli capitava di pensare con gioia rabbiosa, come si trattasse di un male altrui: "Son curioso 
di vedere fin dove arriva la sopportazione umana! Una volta raggiunto il limite del tollerabile mi basta aprire la porta e sono salvo". Ci sono moltissimi suicidi ai quali questo pensiero conferisce energie insolite.
D'altro canto tutti i suicidi conoscono anche la lotta contro la tentazione del suicidio. In qualche angolino della mente ognuno ha la convinzione che il suicidio è bensì una via d'uscita ma, in fondo, un'uscita di soccorso piuttosto volgare e illegittima, e che è più nobile, più bello lasciarsi vincere e abbattere dalla vita che dalle proprie mani. Questa  consapevolezza, questa cattiva coscienza induce la maggior parte dei "suicidi" a una lotta diuturna contro la tentazione. Essi combattono come il cleptomane combatte contro il proprio vizio. Anche il lupo della steppa conosceva questa lotta, l'aveva combattuta con armi diverse. Infine, all'età di circa quarantasette anni gli venne un'idea felice, non priva di umorismo, che più volte ebbe a fargli piacere. Fissò al suo cinquantesimo compleanno il giorno in cui si sarebbe concesso il suicidio. In quel giorno, così convenne con se stesso, avrebbe avuto la libertà di servirsi o non servirsi dell'uscita di soccorso secondo il capriccio della giornata. Qualunque cosa gli capitasse, una malattia, la povertà, un dolore, un'amarezza: tutto aveva un termine segnato, tutto poteva durare al massimo quei pochi anni, mesi e giorni, il cui numero diventava sempre più esiguo. Difatti incominciò a sopportare più facilmente certi guai che prima l'avrebbero torturato più profondamente e più a lungo o forse scosso fin dalle radici. Quando stava particolarmente male per qualsiasi ragione, quando al suo isolamento e alla vita deserta si aggiungevano perdite o dolori particolari, egli si rivolgeva a quei dolori dicendo: "Aspettate, 
ancora due anni e avrò ragione di voi!". Poi si sprofondava con amore nell'idea di quel cinquantesimo compleanno e immaginava la mattina in cui sarebbero arrivate le lettere di augurio, mentre lui, sicuro del proprio rasoio, prendeva commiato da tutti i dolori e chiudeva la porta dietro di sé. Allora addio artrite nelle ossa, addio malinconie, emicranie e dolori di ventre!"


Il suicidio in una cultura di felicità forzata: di chi è la colpa?

Di Megan Wildhood
14 giugno 2018


I suicidi delle celebrità hanno la possibilità di incoraggiarci a rifiutare le stanche e inaccurate spiegazioni sulle malattie mentali, sulla depressione e su cosa fare al riguardo. Il tasso di suicidi, a partire dal 2016, è salito al livello più alto da quasi 30 anni, con un aumento in ogni fascia di età, tranne gli anziani. Negli Stati Uniti Una persona ogni 13 minuti muore per suicidio; gli americani hanno molte più probabilità di uccidersi l'uno con l'altro. Si stima che ogni suicidio ferisca emotivamente altre dieci persone e costi circa 1 milione di dollari tra spese mediche e stipendi persi. Ciò equivale a una crisi di salute pubblica, e dovremmo mobilitarci come abbiamo fatto con  l'epidemia di AIDS e il flagello del cancro al seno. Possiamo - e dobbiamo - fare altrettanto per la crisi dei suicidi.

Come ha detto Noel Hunter, "Quando 45.000 persone all'anno preferiscono morire piuttosto che vivere in questo mondo, potrebbe essere per noi tutti un motivo per prendere in considerazione ciò che sta accadendo nel mondo." Cosa sta succedendo nel mondo? Una delle storie principali che ripetiamo a noi stessi è che la malattia mentale causa il suicidio. Perpetuiamo questa idea che le persone che si tolgono la vita sono malate, forse come un modo inconscio di tentare di evitare sensi di colpa o rimpianti per ciò che avremmo potuto fare o per chi avremmo potuto essere per le persone che stiamo perdendo in questa pubblica crisi sanitaria. È quasi come se la neuroscienza non ci abbia mostrato quanto sia dannoso l'isolamento per gli esseri umani. Scuotiamo la testa  ed esprimiamo stupore sul fatto che Kate Spade, Anthony Bourdain, Robin Williams, ecc., si sentissero così orribili - "erano sempre così felici" dicono le persone "più vicine" a loro.

Naturalmente erano "sempre felici". Viviamo in una cultura di positività forzata e felicità obbligatoria, che in qualche modo rimane intatta rispetto alle attuali realtà politiche, sociali, ecologiche ed economiche globali. Non ha importanza che l'ottimismo incrollabile di fronte ai terribili pericoli dell'umanità sia in realtà il negazionismo delirante. Non ha importanza che viviamo in un mondo in cui l'ingiustizia viene sistematicamente premiata e l'avidità di pochi è letale per molti; un mondo in cui il posto dove sei nato determina sul resto della tua vita più di qualsiasi quantità di perseveranza o duro lavoro (posso anticipare ora chi mi odierà per questo, quindi mi limiterò a notare che, se la meritocrazia fosse reale, cioè, se il duro lavoro fosse riconosciuto e compensato in modo proporzionale, le persone più ricche del mondo sarebbero le donne nell'Africa sub-sahariana che trasportano l'acqua per le loro famiglie otto ore al giorno). Per non parlare del recente promemoria geopolitico secondo cui l'unico pianeta conosciuto per sostenere la vita potrebbe essere cancellato in qualsiasi momento a causa dell'ego incontrollato di alcuni uomini troppo potenti, anche se la sua bellezza e i suoi poteri di promozione della vita sono metodicamente e completamente smantellati come una questione di "civilizzazione". No, se sei angosciato, deve essere il tuo cattivo atteggiamento (che è una scelta) o il tuo cervello rotto (che non è una scelta); Dio non voglia guardare altrove al di fuori del sé.

Il recente eccesso di opinioni scatenato dai suicidi di alto profilo di questo mese - tutti a consigliare amici e familiari di persone care che lottano con la depressione per fare cose come "incoraggiarli ad ottenere aiuto", "non cercare di correggerli" "Essere lì per loro", ecc., con il numero della Hotline nazionale del suicidio in fondo - sono, quindi, un esempio sbalorditivo di dissonanza cognitiva collettiva. Com'è che i nostri media propinano gli  stessi consigli - vari remix di frasi come "essere lì l'uno per l'altro" e "incoraggiare le persone a ricevere aiuto" - ogni volta che una persona famosa si uccide, mentre contemporaneamente, nel nome dell' "auto-cura" , si incoraggia  al rifiuto con frasi come "eliminare dalla vita le persone tossiche " o "allontanarsi dalle persone negative" ?

 Ancora più importante, come può diventare praticabile? Com'è possibile che permettiamo e persino seguiamo questo consiglio? con orgoglio, senza domande? Cosa dà a qualcuno il diritto di etichettare un altro essere umano come "tossico"? Come può non essere del tutto egoistico rimuovere le persone negative dalla tua vita? Le persone che provano tristezza, disperazione e angoscia senza sosta non vogliono aggiungere (ancora più) isolamento al loro dolore, quindi indossano una maschera sorridente e felice e si impegnano "forzando il loro carattere" e qualsiasi altra cosa la nostra cultura abbia etichettato come costante ottimismo, finché non ce la fanno più.

Se chiamare questa hotline funziona o meno (ho trovato quelli che rispondono al telefono in modo estremamente condiscendente e incapace di relazionarsi empaticamente), se davvero ti preoccupi delle persone così piene di dolore che preferirebbero morire piuttosto che vivere un altro giorno, in realtà dovresti provare a affrontare il problema. Inizia ad essere la persona che il tuo amico chiamerebbe piuttosto che indirizzarla verso un estraneo, un esperto o qualcuno che dovrebbero pagare per ascoltarlo. Smettila di dire "non sei solo" e inizia a dire "Sono qui con te".

Ma vai oltre. Questo è un mondo sempre più terrificante e doloroso per un numero crescente di persone - in gran parte a causa del capitalismo metastatico come ho già detto. Se la psicoterapia è meno efficace per le persone povere, forse i veri problemi sono la povertà e la disuguaglianza galoppante, che non sono casuali ma i risultati diretti del capitalismo sfrenato che tutti abbiamo accettato come parte del "modo in cui stanno le cose",  piuttosto che l'individuo che cerca la terapia. Forse è legittimamente doloroso e motivo di disperazione vivere poveri in un mondo in cui  poche élite auto-nominate ostentano ricchezza e potere e non mostrano alcuna preoccupazione per la vita a meno che non possa arricchire i loro imperi. Se ti importa della depressione, organizza un blocco di sfratto; opponi resistenza ai giganti aziendali disposti a inquinare l'aria, l'acqua, il suolo e il cibo; trova chi ha il potere politico nella tua comunità e implacabilmente organizza petizioni, picchetti di  protesta finché non praticano la giustizia.

E smettiamola di partecipare alla diffusione di concezioni suicide dannose e allarmanti. Ce ne sono  molte; alcune di quelle che indeboliscono maggiormente la capacità degli amici e dei propri cari di rispondere con compassione ed efficacia a qualcuno che sperimenta pensieri suicidi (e che ci tengono come una società nel rispondere a questa crisi nel modo in cui abbiamo risposto al cancro o all'AIDS) sono frasi come "il suicidio è segno di debolezza, di egoismo o codardia".

Le persone che portano a termine la propria vita vengono considerate deboli come se l'essere deboli fosse una cosa negativa. La combinazione di capitalismo, individualismo e una concezione  degli esseri umani spietatamente propagata come esseri competitivi per natura, hanno demonizzato la debolezza e l'hanno trasformata in uno spauracchio piuttosto che una caratteristica della condizione umana che, se abbracciata, potrebbe portare a relazioni di guarigione e comunità più resilienti, due baluardi contro il suicidio. L'isolamento - cioè, il sentimento di essere soli e senza connessioni significative o persone che si preoccupano di te - uccide. Dirigere le persone verso i professionisti piuttosto che imparare come avere amicizie reali e durature approfondisce l'isolamento.

Discuterò sulla mia esperienza di lavoro in un centro di crisi che le persone che vivono con pensieri così oscuri sono alcune delle persone più forti che abbia mai incontrato, ma, anche se il suicidio fosse appannaggio dei deboli, dobbiamo chiederci cosa c'è di sbagliato nell'essere deboli. Chi è che ci sta dicendo che essere deboli è categoricamente un fallimento o merita delle critiche? Un sistema pervasivo che richiede sacrifici per tutta la vita, energia e risorse delle masse per arricchire un numero arbitrario di persone,  quindi far vedere le emozioni, le preferenze e le lotte come opzionali, scomode e dispendiose - ecco chi.

Ma gli esseri umani sono creature vulnerabili che dipendono da così tante cose al di fuori di sé stesse per sopravvivere, per non parlare di prosperare. Siamo nati completamente indifesi; ci vogliono decenni per arrivare all'età adulta, anche se non siamo mai pienamente in grado di farcela da soli neanche allora; invecchiamo di nuovo e forse di nuovo impotenti moriamo. La debolezza è inerente alla condizione umana e il possesso di ciò, da non denigrare  o cercare di evitare, è il vero potere.

L'affermazione che il suicidio è egoista è il culmine dell'ipocrisia in una società che consiglia alle persone che non possono vivere per gli altri, che "dovrebbero vivere solo per se stessi" e chiede ai suoi membri di provvedere a tutti i loro bisogni, incluso il fondamentale bisogno di connessione, da soli. Come ho appena discusso, la debolezza è una caratteristica centrale della condizione umana, motivo per cui abbiamo bisogno l'uno dell'altro. Ognuno di noi è gravato dai propri limiti unici che non possiamo superare da soli. La richiesta della nostra società che ogni persona si prenda cura da se per ogni esigenza che ha, rafforzata dall'adorazione selettiva di esperti (ci sentiamo liberi di interrogare gli scienziati sul clima e allo stesso tempo di portare i nostri amici sconvolti dai "professionisti"), va contro la natura umana, in una cultura che non ha uno sbocco sicuro per il dolore che il nostro mondo sociale ci infligge.

Inoltre, perché ci interessa solo che la gente "non consideri gli altri al di fuori di se stessi" quando si è tolta la vita mentre è altrimenti accettabile - promosso in modo aggressivo, persino -  "cercare il numero uno" a tutti i costi? 
Saturiamo il nostro ambiente sociale con incentivi per l'auto-realizzazione. Rafforziamo l'idea che, per vincere, devi prima metterti in primo piano, mantenere relazioni che ti siano di beneficio e buttare via quelle che non lo sono. Ci viene detto in tanti modi diversi che, come ha detto Anthony Robbins, "il successo sta facendo quello che vuoi quando vuoi con chiunque tu voglia", e non possiamo trovare nessuna forza compensativa che possa metterlo in discussione e chiamarlo per quello che è: sociopatia. Virtù come gentilezza, empatia e integrità, o sono  tokenizzate per pochi like su Facebook, inquadrate come irraggiungibili per tutti tranne alcuni "santi" come Madre Teresa o viste con sospetto: mettiamo in discussione i motivi di persone sincere e generose e ci chiediamo cosa devono volere da noi. 

Facciamo pressioni sulle persone fin dai primi anni della loro vita perché si preoccupino solo di se stessi, di usare tutti i mezzi necessari, comprese le altre persone, per ottenere ciò che vogliono dalla vita, e poi, alle persone che abbiamo alienato e isolato al punto di disperazione che terminano la vita a causa della loro disperazione (che ci è stato insegnato a interpretare come "negativo" o "tossico") li accusiamo di non preoccuparsi degli altri. Se il suicidio fosse egoista, sarebbe da chiedersi perché?

Se il suicidio fosse vigliaccheria, perché non viene chiesto quale sia la paura? Data la situazione attuale del mondo e la precarietà della vita in generale, la paura è in realtà una risposta inappropriata? Accusare qualcuno di aver paura come se fosse un difetto della persona significa fraintendere seriamente la funzione delle emozioni umane. In una cultura che distorce le emozioni tanto quanto la nostra, non sorprende che così tante persone considerino la paura come una debolezza, ma abbiamo già parlato di cosa sia davvero la debolezza. La paura, quindi, è in realtà il riconoscimento di quei limiti e di quanto poco ciascuno di noi può realmente avere un controllo nella vita. La paura è una risposta appropriata allo stato attuale del mondo. La paura è un segno che stai prestando attenzione e hai una visione salutare di quanto sia piccolo il tuo potere personale rispetto a quanto sono grandi e profondi i problemi che non affrontiamo nemmeno. Il cambiamento climatico, l'intelligenza artificiale , il totalitarismo permanente - queste sono legittime minacce mortificanti; affermare il contrario è peggio del negazionismo. È un abuso emotivo.

La nostra cultura è estremamente emotivamente abusiva. Il fatto che sia accettabile respingere il dolore che considera l'idea suicida come debole, egoista o codardo e continua a rifiutarsi di impegnarsi nell'auto-riflessione è solo una prova di ciò. Pensare al suicida come debole, egoista o codardo è come incolpare la persona di non poter continuare a vivere in un ambiente che è sempre più inadatto alla vita. Questo è gaslighting (*). Perché siamo più a nostro agio a perpetuare una cultura che sembra rallegrarsi dell'estinzione di sempre più membri in quanto nega ogni responsabilità per la loro morte di quanto stiamo lavorando per creare qualcosa in cui gli esseri umani possano effettivamente prosperare? Cosa siamo diventati?

* Gaslighting: Illuminare a gas, forma di violenza psicologica nella quale false informazioni sono presentate alla vittima con l'intento di farla dubitare della sua stessa memoria e percezione.

fonte: madinamerica.com

giovedì 1 novembre 2018

Aumentano i suicidi: qualcosa non funziona

Questo è un argomento a me caro, che cercherò di sviluppare anche nei prossimi post, nel tentativo di fornire una risposta alle domande che mi sono posto anche qui in passato. Per esempio ecco una domanda cruciale che ogni paziente dovrebbe sottoporre al proprio psichiatra o medico curante: 
Perchè i suicidi aumentano nonostante il largo uso e la disponibilità degli antidepressivi? 
Questa introduce ad un'altra domanda, più azzardata:
E' lecito sospettare che siano proprio gli antidepressivi a favorire il suicidio anziché impedirlo? 

Anche se a mio parere la risposta è si, naturalmente gli esimi esperti della salute mentale negheranno prontamente, pur non avendo uno straccio di prova per dimostrare il contrario. Diranno che la colpa è della ipotetica malattia che si sta diffondendo ampiamente, indipendentemente  dalle condizioni sociali centrate sull'individualità e l'assenza di relazioni umane significative. 

Sembra poi che non riescono ad immaginare  delle persone così sensibili da rendere a loro intollerabile una vita centrata sui  falsi valori che oggi sono maggiormente in auge. No, oggi se non sei conforme allora sei malato, non ci sono altre spiegazioni. 

Una volta c'era ancora qualche rifugio per i ribelli, vi erano ideali condivisi anche se il rischio di eccedere era alto. Oggi tutto scivola addosso mai come oggi è alto l'utilizzo di qualunque tipo di sostanza dotata di effetti psicotropi per addormentare la coscienza, per nascondere una realtà  troppo dolorosa da guardare in faccia. 
Negli anni della grande ribellione già si usavano determinate  sostanze ma lo scopo era nettamente l'opposto. 
Poi si è capito che quello che cercavano non poteva venire con le sostanze ma con un impegno costante che implica un duro lavoro su sé stessi. Perchè una via facile che porta alla liberazione non può esistere, è  mera illusione. 
Così oggi abbiamo la grande massa di conformi beati ignari, che non sanno di stare ballando su una polveriera,  e una minoranza esigua ma in costante crescita di individui che cominciano ad aprire li occhi anche se spesso diventano eccessivi per altri versi. Non è facile mantenere una posizione impermeabile alle  ideologie e agli 'ismi'. 

E' allora come si possono conciliare due pensieri opposti in cui il primo decreta l'assoluta sacralità della vita umana mentre il secondo considera l'umanità tutta intera un terribile cancro da debellare? 
La via di mezzo sappiamo cosa è stato, meglio evitare di nominarla.

La soluzione che io vedo, una possibilità è  quella di sviluppare ciò che per troppo tempo è rimasto sepolto dentro di noi, rompere le catene del destino e uccidere il primo responsabile delle nostre sciagure. Suicidare la nostra parte egoica per fare spazio ad una nuova consapevolezza. 



Aumento dei tassi di suicidio: quando riconosceremo che qualcosa non funziona ?

Di Noel Hunter, Psy.D. 
9 giugno 2018


Indipendentemente dalla razza, dal sesso, dall'età o dall'etnia, le persone negli Stati Uniti scelgono sempre più la morte come unica via d'uscita. Più persone si tolgono la vita piuttosto che morire per overdose da oppioidi, non ci sono spacciatori di droga da incolpare o persone da gettare in prigione (o punire con la  pena di morte) come capro espiatorio. La scorsa settimana abbiamo visto i suicidi di alto profilo della designer Kate Spade e del celebre chef Anthony Bourdain. E queste morti arrivano al termine dei risultati di uno studio del Centers for Disease Control che dimostra che i tassi di suicidio continuano a salire e il suicidio è ora una "principale causa di morte per gli americani".

La risposta OGNI VOLTA è sempre la stessa: più trattamento, trattamento migliore, trattamento più accessibile e, naturalmente, una maggiore consapevolezza della "malattia mentale".

Kate Spade era stata dentro e fuori dal trattamento almeno negli ultimi cinque anni, probabilmente con alcuni dei migliori specialisti che New York ha da offrire. Anthony Bourdain non era estraneo a trattamenti lunghi e intensivi, essendo stato in riabilitazione per dipendenza da eroina e cocaina. La maggior parte delle persone che si suicidano lo hanno fatto dopo aver cercato aiuto.

L'America ha visto un enorme vantaggio negli ultimi decenni di "progressi nel trattamento" e "promettenti nuove scoperte" sulla malattia mentale, tuttavia i tassi di suicidio sono aumentati del 30% e i tassi di disabilità da malattie mentali sono aumentati di due milioni di adulti tra il 1997 e 2009.

È interessante notare che il trattamento per le persone che si sentono depresse e senza speranza è associato ad un effettivo aumento  di suicidalità, violenza e omicidio. Mentre le droghe di tutti i tipi (legali o meno) possono essere utili strumenti di gestione per alcuni quando sono in piena crisi, non sono una panacea, e gli "antidepressivi" a volte possono essere l'esatto opposto di quello che si spera che siano.

Quando i professionisti e il pubblico finalmente riconosceranno  che CIO' CHE STIAMO FACENDO NON FUNZIONA? Quando diremo "Se vogliamo che le cose cambino, forse dovremmo cambiare il nostro approccio" ? Quando i media inizieranno a interrogarsi ampiamente su cosa sta succedendo nella società piuttosto che a analizzare gli individui?

Così come stanno le cose, il pubblico continua a essere bombardato da banali cliché e vuoti suggerimenti che finiscono sempre con una sorta di messaggio del tipo "andate da qualcuno, chiunque".

"Chiama la hotline del suicidio. Sappi che non sei solo."

Il problema è che molti di noi sono soli. Gli Stati Uniti e la maggior parte della società occidentale sono incentrati su una cultura individualistica che mette il "successo" al di sopra delle relazioni, portando molti a concentrare le loro vite sulla ricerca di un'illusione fragile e fugace. Questo inseguimento senza fine lascia una persona schiacciata nel momento in cui scompare l'illusione del successo (che vi sarà sempre). E così, la caccia è sempre aperta sempre per  più individui.

Le persone accumulano "amici" sui social media in una sorta di bizzarro contest di popolarità, ma spesso non hanno nessuno con cui parlare quando hanno bisogno. Un post su Facebook sui gatti o qualcuno che cade giù di faccia potrebbe raccogliere 50 "Mi piace", mentre una riflessione vulnerabile e onesta sul dolore, sulla necessità di relazioni o di disperazione tenderà a venire ignorata e portare a perdere seguaci. Un selfie di una persona nel bel mezzo della loro vita felice e perfetta si tradurrà in un torrente di "Congratulazioni!" Mentre un'immagine che mostra cosa c'è dietro la maschera potrebbe ricevere un paio di facce tristi per la compassione mentre la maggior parte si affretta a scorrere rapidamente oltre tali inquietanti realtà.

Il fatto è che nessuna quantità di talento, riconoscimenti, attenzione, intelligenza o bellezza sostituiranno mai l'amore, l'intimità, l'empatia o i rapporti umani. Non importa quante cose una persona compra, non importa lo status o quanto una persona guadagna, e indipendentemente da quanti ammiratori seguono ogni mossa di una persona, questa non riempirà mai il buco della solitudine - almeno non per molto tempo.

Chiamare una hotline anti-suicidio quando vi è un disperato bisogno può essere estremamente utile per molti. C'è qualcosa di potente che calma e guarisce dal fatto che qualcuno ascolti veramente, sembri preoccupato, si curi sul perché una persona sta soffrendo e sia disposto a essere paziente e calmo mentre si sta seduti con la storia e il dolore di una persona. La psicoterapia può anche essere estremamente utile per gli stessi motivi.

Ciò di cui la gente ha bisogno, tuttavia, è la relazione umana, l'empatia, la comprensione, la pazienza, la tolleranza e una ragione per amare se stessi e per sentirsi amati dagli altri. Quindi, perché siamo arrivati a un punto in cui l'unico modo in cui le persone possono davvero ricevere queste cose è andare da un professionista? Cosa c'è di sbagliato nella nostra società?

"Si tratta di malattie mentali".

Dire alle persone che sono "malati" perché soffrono o  sono tristi serve ad alienare ulteriormente l'individuo. Spesso la persona si sente difettosa e pone il problema all'interno dell'individuo invece di riconoscere che i fattori culturali e circostanziali sono un problema. Gli studi hanno dimostrato più e più volte che una prospettiva di malattia biologica  sulla sofferenza umana porta a una diminuzione dell'empatia, a un aumentato desiderio di distanza sociale e ad un aumento dei pregiudizi e delle discriminazioni.

Peggio ancora, questo concentrarsi sulla malattia mentale e sulla sofferenza individuale può a volte portare quelli così diagnosticati a sviluppare una mancanza di responsabilità su come si trattano gli altri, la mancanza di empatia per quelli non visti come malati e una preoccupazione per il proprio stato interno a scapito delle relazioni con gli altri. Interiorizzare una spiegazione di malattia per la propria sofferenza porta ad alterazioni dell'identità , rinforzo delle  dinamiche abusive, diminuzione della speranza e dell'autostima, e diminuzione della probabilità di cercare aiuto.

In altre parole: a noi, come società, viene detto che se qualcuno sta soffrendo, l'approccio corretto è convincerli di idee che probabilmente li porteranno a sentirsi emarginati, impotenti, senza speranza,  vergognosi, ritraumatizzati e meno propensi a  cercare di relazionarsi con gli altri e cercare il supporto quando, in realtà, le relazioni e il supporto sono le cose che più probabilmente guariranno. La logica al suo meglio.

I tassi di suicidio, infatti, sono più alti nelle aree che riportano i più alti livelli di felicità. Forse far sentire una persona diversa e anormale perché soffre profondamente non è così utile..

Un'avversione al dolore e alla sofferenza non nega la sua esistenza. Una mancanza di empatia per sé o per gli altri comporta solo un dolore maggiore, indipendentemente da quanto profondamente nascosto possa essere. Il capro espiatorio di una presunta "malattia" invisibile può fornire conforto temporaneo dal riconoscere gli orrori e l'ingiustizia del mondo, ma è un'illusione , purtroppo con conseguenze fatali per molti.

"Assicurati di avere un aiuto."

L'attuale paradigma di salute mentale nasce da una società che fornice correzioni pronte e immediate. Una società che giustifica il diritto ad un'idea di felicità che corrisponde ad una quasi totale mancanza di tolleranza per il dolore o la sofferenza. Una società che isola coloro che disturbano lo status quo, proselitizza che tutti i problemi verranno risolti se si acquista X o si va da esperti Y, che fomenta attivamente l'odio e il caos per distrarre dai progressi dei privilegiati.

E così, quando una persona è triste, senza speranza, ansiosa, paurosa, sperimenta una crisi spirituale, o è arrabbiata e stufa dell'ipocrisia e dell'oppressione che lui o lei non possono ignorare, gli esperti proclamano che la risposta sta nella maggior parte delle correzioni a breve termine, uno sforzo quasi immediato per sopprimere ogni incertezza o dolore, emarginazione attraverso asserzioni di malattia individuale e colpa implicita (sul carattere e / o cervello) dell'individuo per non essere in grado di accettare e affrontare una società folle e crudele.

È interessante notare che, come risultato diretto della loro formazione, i professionisti che adottano questa prospettiva bio-tecnica della sofferenza tendono a percepire i loro pazienti in termini meno umani.

I medici vengono pagati, le compagnie assicurative ricevono tangenti, gli ospedali prosperano e gli individui spesso diventano utenti permanenti di un sistema che ignora sempre più la relazione rispetto a  interventi tecnici, presumibilmente "sofisticati" che spesso peggiorano le cose.

Nonostante tutti i proclami che i professionisti della salute mentale sono esperti e che il trattamento è progredito notevolmente nel corso degli anni, non stiamo affatto meglio di come eravamo 100 anni fa. Inoltre, i tassi di invalidità sono aumentati, il suicidio continua a salire, le malattie mentali diagnosticate continuano ad aumentare e, beh, le persone sono semplicemente infelici.

Quando 45.000 persone all'anno preferiscono morire piuttosto che vivere in questo mondo più a lungo, sarebbe opportuno che tutti noi considerassimo ciò che sta accadendo nel mondo che possa causare questo.

Forse potremmo smettere di incolpare la deficienza individuale e il cattivo stock genetico, e iniziare a riconoscere che la nostra società è malata. Forse è ora che facciamo qualcosa di diverso.

Fonte: madinamerica.com