Recupero

Guarire dalla malattia mentale si può? Come si può 'guarire' da se stessi?

Ma la malattia mentale esiste? Si può definire malattia un carattere, una diversa attitudine, un'emozione intensa? Purtroppo secondo la psichiatria organicista, la malattia mentale esiste ed è inguaribile, tuttavia curabile necessariamente con i farmaci, anche se non è mai stato dimostrato alcuno squilibrio chimico alla fonte né che gli psicofarmaci curino qualcosa. Numerose esperienze di 'sopravvissuti' e indagini indipendenti dimostrano invece l'esistenza di una 'trappola farmacologica' molto subdola che, lungi dal 'guarire', favorisce il mantenimento o la cronicizzazione della supposta malattia.
Questo spazio vuole dare la possibilità ai cosiddetti malati mentali di conoscere le reali implicazioni dei farmaci , di cui spesso ne abusano, di riflettere sulla propria condizione, di acquisire nuove conoscenze diventando capaci di riprendersi il controllo della propria vita e delle proprie emozioni.
Si potrà 'guarire' soltanto quando ci allontaneremo dal nostro punto di vista limitato per abbracciare il problema nella sua globalità, con un approccio di tipo olistico.

Attenzione: È potenzialmente pericoloso dismettere psicofarmaci senza un'attenta pianificazione. È importante essere bene istruiti prima di intraprendere qualsiasi tipo di interruzione di farmaci. Se il vostro psichiatra accetta di aiutarvi a farlo, non date per scontato che sappia come farlo al meglio, anche se dice di avere esperienza. Gli psichiatri non sono generalmente addestrati sulla sospensione e non possono sapere come riconoscere i problemi di astinenza. Numerosi problemi di astinenza sono mal diagnosticati come problemi psichiatrici. Questo è il motivo per cui è bene educare se stessi e trovare un medico che sia disposto ad imparare con voi. In realtà tutti i medici dovrebbero essere sempre disposti a fare questo ai loro pazienti che lo desiderano.

venerdì 16 dicembre 2011

Luoghi comuni in psichiatria - VI


6 - Gli psicofarmaci non danneggiano le funzioni cognitive.


Siamo proprio sicuri?
Conosco persone che non sono in grado di studiare, perfino di leggere cose banali. Alcuni con problemi di memoria, altri con grosse difficoltà a svolgere azioni automatiche come guidare un'auto . Infatti nell'esame del rinnovo della patente di guida, non a caso deve essere espressamente indicato l'eventuale uso di psicofarmaci.
La cura incombe su tutto l'aspetto cognitivo, fino a raggiungere aspetti drammatici da cui si capisce l'appellativo 'zombies' dato per spregio a questi malcapitati.
Osserviamo i cosiddetti schizofrenici gravi: devastati fisicamente da movimenti incontrollati, pelle orribile con pus, alitosi, alopecia, intestino marcio, posture inumane deformanti, obesità.. annullati mentalmente poiché incapaci di pensare in modo razionale. Anni e anni di neurolettici hanno prodotto tutto quello che vediamo. Senza questi veleni in corpo, non saremmo capaci di distinguerli a prima vista dalle persone considerate sane. 
Spesso un recupero non è più possibile nemmeno con le migliori intenzioni, queste persone saranno condannate ad una misera fine prematura dopo una vita di stenti, si parla di un accorciamento di 20-25 anni dell'aspettativa di vita media. Una volta almeno un 50% si salvava, adesso ad essere molto ottimisti forse il 5% comunque con seri problemi aggiunti, di natura diversa dalla presunta malattia. Una siffatta diagnosi è la cosa peggiore che può capitare ad un essere umano.
Beh, direte voi, ma questi sono casi limite, giustamente. 

E' vero. C'è una notevole differenza sia nell'immaginario comune e in letteratura per esempio tra schizofrenia e depressione. Se un depresso grave arriva per esempio a 'sentire le voci' è molto probabile che gli venga appioppata una diagnosi di schizofrenia, la sentenza più terribile, il mostro sacro della psichiatria. Questo implica una cura prevalentemente costituita da neurolettici, i farmaci di elezione per questa patologia, le più potenti e cerebro-devastanti molecole che siano state inventate.
L'unico effetto 'benefico' che hanno è quello di calmare il paziente il quale smette di sentire le voci (non sempre) al prezzo però di subire delle gravi menomazioni a livello intellettivo e fisico, proprio come succedeva con la vecchia pratica della lobotomia, tanto osannata in passato da fruttare il premio Nobel al suo inventore. Non a caso questi farmaci sono definiti dai critici con il triste appellativo di lobotomia chimica.

In letteratura possiamo vedere casi di personaggi ritenuti schizofrenici dotati di un grande talento. Per dire solo un paio di nomi si pensi al matematico e premio Nobel John Forbes Nash la cui storia è raccontata nel film “A beautiful mind” dove erroneamente si lascia intendere che si ristabilì grazie ai farmaci. Oppure si pensi al pittore Ligabue e altri personaggi di alto livello.
Non voglio dimostrare un nesso tra schizofrenia e talento, tuttavia è concepibile che l'estrema sensibilità e immaginazione di questi individui sia un tratto distintivo rispetto alle persone ordinarie.
Tutti questi 'grandi' del passato hanno avuto la fortuna di non incontrare i neurolettici nel loro cammino (o solo in parte come Nash), per cui non hanno sperimentato il drammatico declino cognitivo causato da queste sostanze.
A titolo di esempio, vediamo come anche una caso 'leggero' di assunzione minima però costante di Haldol (Serenase), un neurolettico di prima generazione, può essere significativo:

"Sono un paziente psichiatrico e l'anno scorso dopo 10 anni mi hanno sospeso la terapia con haldol intramuscolo 50 mg ogni 28 gg, la realta è che ho avuto ancora delle ricadute, ma dovute piu' agli eventi della vita piuttosto che ad un peggioramento, ma questo è solo il mio punto di vista, ieri mi hanno rifatto la terapia con l haldol oggi sto dormendo quasi sempre e sento un piccolissimo dolore al cuore, in poche parole ieri mi hanno condannato a dormire ad ergastolo, in questi mesi senza psicofarmaci sono rinato guidavo lo scooter senza rischiare di ammazzarmi, ero lucido, reattivo, io lavoro come libero professionista consulente per la qualità e sicurezza ed realizzo anche semplici siti internet, nel periodo senza farmaci ero in grado di lavorare instancabilmente per ore, il mio lavoro piace e dopo anni di dipendente mi sentivo realizzato, forse non lo sa ma i diversamente abili nelle aziende fanno un po di tutto ed il mio orgoglio ne risentiva, al CPS dove sono in cura mi hanno detto che sono fortunato e che altri pazienti con la mia patologia non riescono neanche a lavorare, io Le chiedo esiste una terapia alternativa a questo farmaco o devo rassegnarmi a vivere rallentato per sempre, un ultima cosa per lavoro e per interesse privato ho fatto corsi di inglese e ho letto molti libri sulle tecniche di memorizzazione,senza nessun risultato ad agosto dopo 10 mesi senza farmaci ho iniziato a ascoltare e con molto stupore a comprendere i notiziari della CNN"
 
“mi hanno condannato a dormire ad ergastolo” pure scritto in questi termini rende perfettamente l'idea. E' è uno dei pochi fortunati a cui piace il proprio lavoro.
Il medico gli risponde che :

"L'haldol è un farmaco magnifico e oltre tutto lei lo ha assunto fin'ora senza grossi problemi, ha fatto male a smettere."

Certo: meglio l'ergastolo a vita che la follia!
Da un po di tempo in psichiatria vanno di moda i neurolettici anche per altre patologie, ad esempio il disturbo bipolare. Si usano quelli atipici ovvero di seconda generazione, molto apprezzati dagli psichiatri perché dicono che hanno minori effetti collaterali rispetto ai primi, tra cui il più importante è sicuramente la “sindrome maligna da neurolettici” che è mortale. Un altro minore effetto di queste nuove molecole è la discinesia tardiva, cioè movimenti fisici involontari, provocati puntualmente da quelli di prima generazione.
Il problema è che pure questi ultimi si è visto che non sono esenti da tali effetti nel lungo periodo, inoltre vi è una forte prevalenza di effetti spiacevoli tra cui disfunzioni cardiovascolari e il più noto aumento ponderale. Insomma , se osservate chi assume costantemente questi farmaci, noterete una schiacciante maggioranza di persone ingrassate di 10, 20, 30 kg in brevissimo tempo, con tutti i problemi collegati ,diabete in testa.

Ecco un episodio che fa parte del mio passato, circa 10 anni or sono:

Mentre mi portavano via in ambulanza, dopo un primo momento di riluttanza, alla fine accettai di buon grado anche l'iniezione di Haldol, d'altronde non potevo fare niente per sottrarmici. Quello che provai fu una sensazione bruttissima, come se mi stessero chiudendo dentro ad una camicia di forza. Con la differenza che sentivo anche la mia energia affievolirsi bruscamente, non riuscivo nemmeno a parlare correttamente, la bocca impastata riusciva a malapena a formulare parole prima, poi nemmeno più voglia di rispondere alle loro domande. Riuscii soltanto a balbettare: “ma cosa mi avete fatto?”
Non ho quasi più memoria di cosa accadde nei successivi 15 giorni. Le persone che sono state a trovarmi in quel periodo dicono che sembravo uno zombie. Io non ricordo affatto di averle incontrate in quel frangente.
In quel periodo avrebbero potuto farmi tutto quello che volevano, tanto, io non me lo sarei mai più ricordato. E questa cosa con altre, mi ha portato a considerare un simile trattamento come una grande violazione dei diritti umani: distruggere la memoria altrui, iniettare con la forza sostanze di cui non si conoscono gli effetti deleteri se non quelli immediati a breve termine.


Purtroppo gli effetti visibili sono solo la punta dell'iceberg. Molto più subdoli sono gli effetti cognitivi. Le persone tendono diventare l'ombra di sé stessi, con gravi problemi relazionali, mnemonici e comportamentali. Test dimostrano una sensibile diminuzione del QI il quoziente intellettivo e la cosa più terribile è che quasi nessuno se ne accorge, a parte disturbi fisici evidenti, tutti questi individui diranno che non si sentono mentalmente compromessi anche di fronte all'evidenza più schiacciante. Beata stupidità !
Sarebbe già bello se questo tipo di problemi fossero limitati ai neurolettici. Invece trovo problemi di questo tipo, in tante persone che assumono altre sostanze. 

Si odono storie frequenti di studi compromessi quando la malattia viene 'curata' nell'età scolare, con la frequente incapacità di concentrarsi nello studio. Situazioni molto più drammatiche nel mondo del lavoro, dove spesso si è costretti a chiedere quel misero indennizzo che è la pensione di invalidità , appena sufficiente a pagarsi le sigarette per chi fuma (chissà perché poi, vi è una maggioranza di fumatori incalliti tra i pazienti psichiatrici) o una visita specialistica a pagamento da un luminare.
Insomma questi problemi sono purtroppo molto frequenti, ma tanto lo sappiamo: la colpa è esclusivamente da imputare alla malattia, mai alla cura. La presunta malattia diventa il capro espiatorio perfetto per giustificare qualsiasi anomalia.

Luoghi comuni in psichiatria - V


 
5 - Il ritorno dei sintomi dopo la sospensione dei farmaci è la prova evidente della malattia che riemerge.


Se si seguono gruppi di dismissione, cioè forum tematici di persone motivate a uscire fuori dalle loro trappole farmaceutiche, si può toccare con mano le enormi difficoltà che riscontrano, causate da effetti di sospensione dei farmaci.
E' curioso vedere che queste persone mettono nella firma dei loro messaggi tutta la sequenza di scalaggio e i nomi dei farmaci scalati, in ordine temporale. Presumo che questo serva per avere un quadro immediato della situazione personale di ciascuno di loro.
E' prassi comunemente accettata in questi luoghi, che lo scalaggio deve essere molto graduale, più graduale di quanto è indicato (sempre che lo sia) nelle avvertenze ufficiali sulle schede tecniche delle molecole.
Gli specialisti generalmente non si degnano di avvertire i loro pazienti di tale difficoltà, come si è visto, per loro sono trascurabili, e comunque sono pronti altri farmaci per fronteggiare anche questi effetti.
Quindi se ho ansia dovuta a sospensione è pronto un ansiolitico , se non dormo un sonnifero, se ho nausea con vomito ecco un antiemetico, se ho mal di testa un analgesico, se ho deliri un antipsicotico eccetera eccetera.
Non serve una laurea in medicina per capire che la strada dell'intossicazione , dell'avvelenamento continuo e deliberato non è umanamente praticabile.
Viene da chiedersi perché stiamo sempre più sprofondando in questa fossa. Non credo sia ovvio per motivi di profitto così come credo nella dignità umana. Non riesco a pensare alle case farmaceutiche come associazioni mafiose, perché anche tali spietati assassini hanno un codice di onore.
Il motivo è che siamo tutti impregnati di un concetto sbagliato come quello del metodo allopatico, per cui molti medici in buona fede si fidano della psichiatria.


E' noto che effetti di sospensione di molti farmaci 'mimano' la presunta malattia.
La depressione è un effetto tipico, direi ovvio per gli antidepressivi. La mania è un effetto noto di sospensione dal litio.
L'ansia pure, per quanto riguarda gli ansiolitici.
E la psicosi riguardo i neurolettici.


Un momento: che significa ?
Significa che ognuno di questi farmaci produce come effetto indesiderato e di sospensione, proprio la malattia per cui è prescritto.
L'unico modo per verificare questo fatto è osservare gli effetti nelle persone considerate sane di mente, trattate per qualche motivo con tali farmaci.
Tempo fa vi fu un episodio curioso: neurolettici confezionati per errore al posto di un farmaco da banco molto comune, prodotto dalla stessa casa farmaceutica. L'articolo avvertiva di pericoli di psicosi, indotta da neurolettici.
In sostanza chi non mai avuto deliri, li può subire come conseguenza di una cura per tutte altre cose. Così per l'ansia, il panico, la depressione ecc. 

Riuscite a capire come sia facile oggi cadere in una diagnosi psichiatrica? Ho visto personalmente medici comuni prescrivere antidepressivi, perfino neurolettici con estrema naturalezza a persone che avevano solo bisogno di tranquillità. Conosco diverse persone prive di diagnosi psichiatriche le quali assumo regolarmente psicofarmaci e ne sono diventate dipendenti.
Comunque è lecito pensare che a fronte di sintomi messi a tacere da psicofarmaci , una volta che si smette la cura questi si ripresentano in tutto il loro drammatico splendore. Così come è lecito pensare per esempio, che la febbre si ripresenta una volta sospesa la terapia antibiotica.
Un momento, qualcosa non torna. E' vero, nel caso degli antibiotici viene debellata l'infezione virale , perciò non è proprio corretto fare questo tipo di ragionamento.
In sostanza, siccome gli psicofarmaci non intaccano il problema alla radice, ma semplicemente coprono i sintomi nei casi che funzionano, allora è lecito pensare che non curino la malattia sottostante. Quindi sono sostanze appositamente progettate per un uso continuativo, vita natural durante, come l'insulina per i diabetici. Con la differenza sostanziale che l'insulina effettivamente risulta carente in questo caso perché il pancreas non è più in grado di produrla.
Peccato che non regge l'analogia con gli psicofarmaci. Sarebbe come dire che il mal di testa è dovuto ad una carenza di aspirina nel corpo.
Tuttavia, pur essendo ammissibile che la presunta malattia mentale si ripresenti quando si cessa la cura, spesso questo inconveniente viene confuso con i sintomi di astinenza che, guada caso, mimano perfettamente la presunta malattia. Allora diventa molto difficile stabilire la causa. Gli psichiatri sono però propensi ad attribuire questo fatto alla malattia sottostante in ogni caso, anche se vi sono evidenti effetti da sospensione.
Dove voglio arrivare con questo ragionamento?
Alle stesse conclusioni a cui sono arrivati altri, osservatori più accorti che, in definitiva la cosiddetta malattia mentale una volta era episodica, ovvero non cronica. E che grazie a queste sostanze in grado di mimare gli effetti della malattia nella loro sospensione sono diventate sostanze promotrici della malattia! Questo è stupefacente. Significa in altre parole che non solo questi farmaci non curano un bel nulla, ma addirittura promuovono la malattia contro la quale sono stati progettati.
Questo è molto grave. Nessuno si sentirebbe di formulare un'accusa così pesante. Possibile che il profitto sia ritenuto più importante della salute umana?


Nella sua discussione, El-Mallakh osserva che le persone senza storia di depressione a cui viene prescritto un antidepressivo per altre ragioni, ansia, attacchi di panico , o perché sono al servizio come "normali controlli" in uno studio, possono diventare depressi, con la depressione a volte persistente per un periodo abbastanza lungo di tempo dopo che l'antidepressivo è stato ritirato. La ragione è che gli antidepressivi possono avere un "effetto pro-depressivo ," El-Mallakh scrive, che "il trattamento farmacologico continuo può indurre processi che sono l'opposto di quello del farmaco originariamente prodotto." (1)
El-Mallakh 


Dopo sei mesi di trattamento con antidepressivi, i farmaci "in genere non riescono a proteggere" contro il ritorno dei sintomi depressivi. (In altre parole, il trattamento di mantenimento è inefficace, rispetto al placebo .)  
Giovanni Fava:


Nel report di MN misure comunitarie, una organizzazione no-profit del Minnesota, che raccoglie i dati sugli esiti di salute in quello stato, nel 2010, hanno riferito che solo il 5,8% dei 23.887 pazienti trattati per la depressione erano in remissione al termine di sei mesi, e che solo il 4,5% era in remissione al termine di dodici mesi. In altre parole, il 95% dei pazienti in Minnesota con depressione maggiore ora sembrano essere malati cronici.
Whitaker:

Ora con tali risultati, come è possibile fidarsi di queste sostanze?
Gli specialisti si difendono sostenendo l'efficacia degli antidepressivi anche di fronte a queste schiaccianti evidenze, completamente accecati da risultati immaginari provenienti da studi pilotati.
In definitiva, hanno ribaltato completamente il paradigma della depressione, una volta considerata una condizione episodica, risolvibile senza grande recidività in una malattia cronica.
Come si fa a non considerare criminale un simile comportamento?

mercoledì 7 dicembre 2011

Luoghi comuni in psichiatria - IV


4 - Più psicofarmaci sono meglio di uno solo. 

Dato che spesso non esistono disturbi 'puri' si parla di comorbilità con altri disturbi, magari provocati proprio dai farmaci. Allora diventa opportuno aggiungere altre sostanze. Ho notato spesso i pasticci che vengono fatti in questo modo. Con la scusa di trovare la giusta combinazione si procede per tentativi aggiungendo danno al danno. Spesso vengono completamente ignorate le sinergie note tra farmaci incompatibili. Inoltre si ignora quasi sistematicamente il danno dell'inevitabile effetto 'rimbalzo' dello scambio terapeutico, quando ad esempio si cambia classe di farmaco.

Dalle mie osservazioni, il danno risulta direttamente proporzionale al numero dei farmaci assunti. I pochi fortunati che riescono a stare meglio più a lungo, generalmente assumono un solo farmaco o una sola classe. Queste osservazioni, basate su situazioni reali, sembra che contrastino fortemente con la letteratura psichiatrica.
Un'altra ragione per cui vengono prescritte combinazioni di farmaci è che a fronte di uno stesso disturbo, ciascuno presenta una risposta chimica individuale al farmaco, che sarà sempre diversa da individuo a individuo.
Più semplicemente, penso che in definitiva le opzioni farmacologiche, rispetto alla casistica delle presunte malattie mentali siano relativamente poche. Il numero delle classi farmacologiche è abbastanza limitato, perciò diventa lecito considerare le appropriate combinazioni di classi rispetto a un determinato problema. Così come un abile musicista riesce a produrre una melodia diversa fra miriadi di melodie possibili con l'ausilio di sole 7 note, un abile medico riuscirà a trovare la corretta combinazione di molecole, tagliata su misura sulla pelle del paziente.
L'operare in tal modo diventa così una sfida appassionante e gratificante quando si vedono miglioramenti a breve termine. In caso contrario, si può essere completamente esenti da sensi di colpa in quanto i problemi si possono sempre ricondurre alla presunta malattia, non certo alla siffatta cura.

Nella realtà dei fatti purtroppo le cose vanno in ben altro modo. Lo dimostra la presenza nei gruppi di discussione della maggioranza di persone 'malate' che sono costrette a lottare continuamente con disturbi di varia natura. Lo si legge continuamente nei forum. Si osserva una interminabile sequenza di lamentele, persone in una spirale di sofferenza continua e atroce senza apparente via di uscita.
La cosa assurda è vedere come i pochi che riescono a stare meglio, magari sotto una terapia minima si prodigano ad incoraggiare altri, sottoposti a maldestri tentativi in multi-terapia con frasi del tipo “ non preoccuparti, vedrai che troveranno la giusta combinazione per te”.
Si certo, quando? Ci sono persone che per anni e anni non vedono alcun miglioramento.
Come qualcuno ogni tanto esce fuori dal coro, mettendo in dubbio l'efficacia delle cure, immediatamente viene ricondotto alla ragione con argomentazioni dello stesso tenore: “ devi fidarti del medico, lui sa come fare” oppure se un altro osa criticare una terapia viene subito zittito : “cosa vuoi saperne tu, non sei un medico” e via discorrendo.
Inoltre occorre considerare questo:
L' assunzione di molti farmaci allo stesso tempo è per definizione non basata sull'evidenza. Tutti i farmaci sono stati testati separatamente in studi solo a breve termine, e pochissimi sono stati testati in combinazione. Quindi, né il trattamento a lungo termine, né la poli-farmacia si basano sulla ricerca. I medici che prescrivono più farmaci allo stesso tempo, non stanno dando un trattamento basato sull'evidenza.
Il presupposto principale è l'assunto incontestabile che gli  'esperti della salute mentale' sanno esattamente cosa serve, e come si curano queste presunte malattie, mentre anche una persona non competente ma dotata di buon senso riesce a capire che più sostanze tossiche si immettono e più complicato diventa trovare un equilibrio decente.
Un amico 'virtuale', purtroppo scomparso prematuramente di propria mano, estremamente lucido e molto dotato nella scrittura, diceva dell'operato psichiatrico : “E' come sparare agli uccellini con un bazooka”. Non era tanto lontano dalla realtà.
Un'altra amica, che lo ha seguito poco dopo nell'insano gesto, era costretta ad una terapia assurda composta da farmaci complementari. Due antidepressivi e un neurolettico di prima generazione. Un bel colpo in basso e due in alto, poggio e buca fanno pianura. Prendi una cosa che ti butta giù insieme ad altre due che ti tirano su. La sua psichiatra sarà adesso sempre al suo posto e riuscirà a dormire sonni tranquilli, poiché il suicidio, purtroppo è previsto. E' da mettere in conto come conseguenza logica della malattia mentale. Ma difficilmente la sofferenza mentale estrema potrà essere considerata come una conseguenza logica di una terapia insensata.
Solo da poco tempo il suicidio è stato  inserito nei bugiardini tra gli effetti indesiderati di diversi farmaci, in particolare degli antidepressivi.

In conclusione, avanti così. Non importa se gli effetti collaterali si sommano, se si aggiungono gli effetti sinergici e di sospensione. Quello che conta è trovare la 'giusta e corretta combinazione' appropriata per il caso individuale. Non importa se nel frattempo il problema si complica, si ingrandisce a dismisura , tanto si può sempre dire che è la malattia che si aggrava.
Alla ricerca della mistura salvifica si può incappare pure nella combinazione letale. Peccato, abbiamo perso il paziente, questo è deplorevole. Eh, vedete quali conseguenze estreme può avere la malattia mentale?

martedì 6 dicembre 2011

Luoghi comuni in psichiatria - III

3 - La malattia mentale non trattata (con psicofarmaci) diventa cronica e tende a peggiorare. 

Come ho scritto in precedenza, sembra vero semmai il contrario. Sicuramente se non si correggono in qualche modo la cause a monte, ovvero un atteggiamento fisico e mentale negativo, i disturbi non spariranno.
Spesso le storie raccontano di abusi, di vite sregolate e difficoltà di vario genere, tra cui fallimenti, delusioni, perdite ecc.
Generalmente con l'avanzamento dell'età il ritmo vitale tende a stabilizzarsi e vi è meno interesse per il ricorso a sostanze ricreative per esempio. Per questi e altri motivi, una volta passata la crisi iniziale, molte persone una volta godevano di stabilità per lunghissimi periodi di tempo. 
Ancora oggi penso che molta gente goda di questa stabilità. La sola e unica differenza con i pazienti psichiatrici sta nell'avere un marchio, ovvero lo stigma di una diagnosi. Questa cambia radicalmente e inesorabilmente la direzione della vita futura di queste persone. 

Leggo articoli di psichiatria organicista, dove si spiega con termini comprensibili solo agli addetti, delle numerose prove, degli studi in doppio cieco randomizzati sulla pelle di numerosi malcapitati sottoposti alle loro benefiche terapie. Salvo poi scoprire a piè di pagina che l'autore esimio psichiatra collabora come consulente con le più grosse compagnie farmaceutiche. 
Immagino con quanto scrupolo  hanno elaborato questi studi per avere risultati a loro favore, finanziati e molto probabilmente pilotati dalle stesse.
Si legge di aderenza alla cura, di combinazioni magiche di sostanze spesso complementari, di effetti secondari trascurabili rispetto alle sostanze osannate solo pochi anni addietro con la stessa enfasi. 
C'è poco da fare; eppure basterebbe cambiare paradigma. Una prospettiva diversa tuttavia entra in antitesi con quello che ci hanno sempre insegnato fin dalla nascita, ovvero, il cercare al di fuori di noi la causa dei nostri malesseri, delle nostre frustrazioni, delle nostre sofferenze. 
Il desiderio di annullare il nostro disagio con la semplice azione di prendere una pillola è profondamente radicato nella nostra mentalità, lo si capisce bene dall'enorme abuso che vediamo oggi per molti farmaci anche di uso comune. Con la differenza non trascurabile che questi ultimi non vengono generalmente assunti in modo continuativo. 

C'era una volta.. 

"Nel 1960, all'inizio dell'era degli antidepressivi, gli esperti in questa malattia regolarmente scrivevano che la depressione è un disturbo episodico, che ci si poteva aspettare di chiarire con il tempo. Dean Schuyler, capo della sezione depressione al NIMH spiegò in un libro del 1974 che più episodi depressivi "avranno il loro corso e termineranno con un recupero praticamente completo senza interventi specifici." Nel 1969, George Winokur, uno psichiatra della Washington University, era dello stesso parere: "I pazienti e le loro famiglie possono essere tranquillizzati sul fatto che gli episodi successivi di malattia dopo un primo episodio di mania o anche una prima depressione non tenderanno verso un decorso più cronico".

Mi chiedo allora perché oggi le cose vadano diversamente. Cosa è cambiato? 
A guardare meglio tuttavia,  se spostiamo lo sguardo un po al di fuori degli ambienti popolati dai 'portatori di diagnosi psichiatriche' si scopre che esiste una fetta di individui la cui esperienza riflette ciò che afferma la citazione precedente. Persone che generalmente riescono a condurre una vita normale nonostante siano stati coinvolti in problemi mentali nel passato. L'unica differenza rispetto ai 'malati' risiede in una diagnosi psichiatrica e il convincimento di avere una malattia mentale. Alcune di queste persone possono essere attivamente impegnate nei gruppi antagonisti e partecipare alla lotta antipsichiatrica, ma presumo che molti altri siano semplicemente disinteressati al tema della malattia mentale, e che tendono a rimanere fuori dalla psichiatria per altri motivi, perché sentono intimamente di non appartenere a nessuna di tali artificiose categorie psichiatriche. 

Come avrò modo di approfondire in futuro, lo stigma della diagnosi ha un contributo enorme nello sviluppo della cosiddetta malattia mentale. Ecco un caso esemplare per comprendere come un differente approccio può cambiare drammaticamente il corso della vita. 

Storia di gemelli: 

"Sorelle gemelle identiche, con una storia familiare molto disfunzionale nell'età dello sviluppo. Una sorella ha superato la storia, l'altra ha cominciato 15 anni fa ad assumere Zoloft, Prozac e Effexor. La sua psichiatra è una che vede i suoi pazienti per 15 minuti ogni 3 mesi e delega alla droga (psicofarmaci) ogni interazione che richiederebbe un tocco umano, un minimo di aiuto concreto. La sorella medicata non è stata in grado di risolvere la sua depressione, nonostante le medicine. Ciò che è spaventoso è vedere l'effetto debilitante di 15 anni di cure farmacologiche. Il gemello medicato ha sviluppato tremori come un Parkinson nella fase iniziale, rotola la lingua, la spinge fuori dalla bocca e si sfrega le dita indice di entrambe le mani contro la nocca del pollice in uno schema circolare. È incline a scoppi emotivi, ha perso ogni legame con il sesso e il desiderio sessuale. Vive da sola lontano dalla sua famiglia. L'altra sorella, non medicata è al contrario molto ben inserita, ha una buona vita, ha progredito nella sua carriera e ha vinto la sua depressione 20 anni fa."

Quindi il presunto peggioramento della malattia mentale non trattata, sarebbe una ulteriore invenzione della biopsichiatria moderna, così come il mito dello squilibrio chimico del cervello. A causa di questa forte credenza, la gente con simili problemi viene convinta ad accettare una sentenza crudele, senza appello che la stringerà sempre di più in una morsa opprimente, costretta ed incanalata per il resto della vita da assumere il ruolo di malato mentale con tutte le drammatiche conseguenze del caso.

Luoghi comuni in psichiatria - II

2 :  La malattia mentale non trattata (con psicofarmaci) provoca danni al cervello


Esistono le malattie del cervello: si pensi ad esempio al morbo di Alzheimer, al Parkinson all'encefalite ecc. Come qualsiasi altro organo,anche il cervello è soggetto ad ammalarsi. Ma questo interessa la neurologia e i neurologi.
Non esistono prove certe, di danni al cervello provocati dalla cosiddetta malattia mentale. Esistono però numerose prove dei danni al cervello provocati dagli psicofarmaci, in particolare i neurolettici e recentemente gli antidepressivi ssri. I primi visibilmente provocano un restringimento dell'area cerebrale: dunque il termine 'lobotomia chimica' si rivela  molto appropriato.
I secondi modificano, non si sa ancora se in modo permanente, le cellule reputate all'assimilazione della serotonina. Ne consegue che disturbi mentali possono venire indotti da una terapia protratta nel tempo. A questo purtroppo dobbiamo aggiungere numerosi disturbi secondari che spesso diventano altre malattie fisiche e mentali. Una depressione dovuta ad un lutto per esempio, una separazione, oppure provocata da una condizione di disagio fisico, viene oggi facilmente trattata con psicofarmaci.
Se il trattamento si protrae abbastanza a lungo, e anche una sola pillola può essere fatale per persone estremamente sensibili, la serotonina non verrà più gestita come prima, anche se si smette la terapia. Ne consegue che la depressione da sporadica diventerà cronica. Questo lo si può osservare continuamente nelle esperienze di 'malati mentali' e di persone ordinarie che per qualche motivo, ne fanno uso occasionale.

Moderni studi di neuroimmagine basati cioè su tecniche in grado di fotografare il cervello in sezione , riportarlo in 3d e discriminare i singoli componenti con l'uso di marcatori specifici, dimostrerebbero piccole variazioni in determinate aree nei soggetti ritenuti malati rispetto a altri soggetti sani.

Solitamente simili studi vengono puntualmente smentiti da quelli successivi, tuttavia anche se così fosse cosa ci direbbero?
Che esiste una predisposizione anatomica, ovvero una particolare 'carattere' che può, ma non sempre, sfociare in disturbi mentali.Si scopre cioè che caratteri anatomici differenti possono influire sul corso dell'esistenza.
Bella scoperta!
Nell'affannosa ricerca di una conferma che probabilmente non si troverà mai, si continua a guardare dalla parte sbagliata. Si spendono soldi ed energie per avvallare una ipotesi costruita sul nulla, che non porterà alcun beneficio reale alle persone sofferenti.

Gli amici convinti della bontà di questa pseudoscienza sono fiduciosi nel futuro. Ogni volta che viene annunciata una nuova scoperta si sente dire che siamo ad un passo dalla soluzione, salvo poco dopo accorgersi che ci stiamo inesorabilmente allontanando.
Tutto questo castello di carta costruito su ipotesi non dimostrabili è in procinto di crollare miseramente. L'euforia iniziale degli anni 80 e 90 ha lasciato il posto ad uno scetticismo dilagante e i soli a non accorgesi di questo sono i professionisti ancora convinti dell'esistenza della malattia mentale di origine organica. Individui che senza nessuno scrupolo contribuiscono ad alimentare uno stillicidio di vite umane di proporzioni inaudite, in nome di una scienza medica fallimentare votata al profitto.

martedì 29 novembre 2011

Luoghi comuni in psichiatria - I

Inizia qui un lunga serie di scritti  dove esporrò vari luoghi comuni e dogmi della psichiatria cercando di esaminarli uno per uno. Via via che mi verranno in mente  scriverò gli articoli, cercando di usare un linguaggio comprensibile. Se userò termini tecnici, saranno linkati  per maggiore chiarezza.  

1 :  La malattia mentale dipende da uno squilibrio chimico nel cervello

Ad oggi non ci sono conferme di questo, anche se la psichiatria organicista fonda tutto il suo operato su questo dogma, spacciato per vero. Quello che si è visto è che la chimica del cervello cambia in relazione agli stati d'animo, e questo è abbastanza plausibile. Gli stessi squilibri chimici però, sono comuni anche a persone ritenute sane di mente in determinate situazioni. E' noto inoltre, che qualunque sostanza psicotropa agisce modificando la chimica del cervello. Prima degli psicofarmaci, la malattia mentale raramente veniva considerata una situazione stabile (1). Se si trattasse di uno squilibrio chimico permanente, allora sarebbe relativamente semplice determinare lo stato di malattia tramite delle analisi, come si fa per esempio per il diabete. Ma simili test ancora non esistono, nonostante più di un secolo di studi. Anche l'analisi di migliaia di autopsie, non ha rilevato la benché minima prova dell'esistenza di uno squilibrio chimico o anomalie fisiche nel cervello dei malati mentali. Eppure gli psichiatri sono convinti che si tratti di una malattia organica, di origine genetica e presto si troveranno le prove. 
Dopo tutti questi anni, stiamo ancora aspettando delle risposte che molto probabilmente non si troveranno mai, prigionieri di una mentalità ottusa. L'ottusità che è diventata il fondamento della psichiatria, con la complicità della medicina: trattare il disagio emotivo al pari di una malattia organica, la quale, di fatto non esisterebbe. Si tenta perciò di curare qualcosa che non rientra nei canoni di una normalità per giunta assai sfumata.
  
Wakefield (2007) della World Psychiatric Association ammette che non esiste un test di laboratorio o indicatori fisiologici per i disturbi mentali [..]
Si chiede se una "condizione problematica mentale" non sia "semplicemente una forma di normale, anche se indesiderabile e doloroso del funzionamento umano" piuttosto che un disturbo psichiatrico. Egli dice ancora: "La credibilità e anche la coerenza della psichiatria come disciplina medica dipende dall'esistenza di una risposta convincente a questa domanda" (2)

La condizione vitale dipende da un insieme di fattori ben più complesso di quelli di una malattia organica. Se proprio vogliamo fare un paragone 'organico', il cancro è la malattia che si presta meglio alla ipotesi genetica e multifattoriale. Ci sono pure drammatiche analogie riguardo ai trattamenti: come la malattia mentale, anche il cancro è in costante aumento, e la sua recidività non lascia scampo a lungo termine. E inoltre noto che le principali terapie per il cancro possono indurre la malattia che tentano di curare. 
Verrebbe quasi da pensare che il corpo, quando non ha una manifestazione fisica di uno squilibrio, quest'ultimo può sfociare in un disturbo mentale. Ci si chiede infatti spesso perché i cosi detti malati mentali soffrano generalmente di meno per altre malattie fisiche quando non sono dovute alla cura stessa della malattia mentale. 
La depressione viene descritta spesso come 'cancro dell'anima', direi che è una definizione che ha un senso. Quindi, se fosse lecito considerare il cancro come conseguenza di uno squilibrio chimico del corpo, viene naturale pensare la stessa cosa riguardo alle malattie mentali. Posso comprendere che uno stato mentale può essere conseguente ad uno squilibrio di tutto il corpo, non solo dell'organo cervello. 
C'è chi mette in relazione i disturbi mentali con l'intestino, altri con il fegato, altri ancora con l'apparato surrenale o tiroideo. Esistono studi che collegano situazioni organiche con la malattia mentale, come esistono molte malattie organiche in grado di avere conseguenze sulla psiche. Ma tutto questo viene sistematicamente ignorato dagli psichiatri, i quali potrebbero indagare più a fondo con scrupolo sulla storia organica dei loro pazienti anziché fornire subito le loro pillole magiche dopo mezz'ora di colloquio se va bene.

Io ho avuto la fortuna di rivolgermi subito ad un bravo neurologo anziché a uno psichiatra, penso che questo mi abbia salvato da un calvario farmacologico che oggi sta sotto gli occhi di chiunque abbia voglia di approfondire le numerose storie di altri. Questo specialista di vasta esperienza individuò subito il problema, sottoponendomi ad esami per confermare l'assenza di una condizione organica. Dopo questi accertamenti, mi prescrisse il farmaco di elezione specifico per la mia condizione. Farmaco che ho assunto per il tempo sufficiente a ristabilirmi, nonostante fosse indicato per una cura protratta a vita. Ma io non lo sapevo, ancora non esisteva internet e l'accesso a questo tipo di informazioni, solo qualche libro che ho letto successivamente. Così nell'ignoranza quasi totale ho fatto di testa mia cercando le risposte dentro di me. 
Questo mi ha reso stabile per lunghissimo tempo, permettendomi di vivere una vita normale, dignitosa senza limitazione alcuna delle mie capacità, una vita insomma pari alla mia condizione precedente all'insorgere della prima crisi in cui mi riconoscevo 'sano'. Diversamente, se fossi andato da uno psichiatra, secondo le condizioni in cui ero, mi avrebbe forse imbottito di neurolettici o di antidepressivi iniziando così un processo degenerativo che mi avrebbe quasi sicuramente impedito di sposarmi, avere figli, comperare una casa e mantenermi stabilmente un lavoro. 

Ognuno ha la sua storia e capisco molto bene quelli che vengono privati di una vita dignitosa dalla loro condizione mentale, prima di approdare ad una cura efficace. Quando poi affermano di essere stati salvati dai farmaci risulta spesso che hanno trovato il modo di gestire i loro problemi per altre vie, cambiando radicalmente il proprio stile di vita. 
Senza negare a priori un eventuale contributo iniziale di farmaci molto mirato per simili casi, nel lungo periodo sta a noi stessi  trovare strategie efficaci per gestire al meglio questa particolarità, ed impedire così di essere sopraffatti dalla nostra mente. 

La mia diagnosi rientra in quello che veniva  una volta comunemente chiamato sindrome maniaco-depressiva, oggi disturbo bipolare.  Purtroppo oggi pur continuando ad essere in relativa minoranza i casi di "bipolarismo puro", si assiste ad una tendenza a diagnosticare il disturbo bipolare ad un numero sempre crescente di persone che non hanno le caratteristiche tipiche della cosi detta psicosi maniaco-depressiva. Ne consegue che numerosi depressi monopolari, gli individui con storie di dipendenza, i, cosiddetti borderline e altri con caratteristiche psicotiche vengono tutti riuniti nello spettro bipolare: un'etichetta che raccoglie caratteri assai diversi fra loro ma tutti accomunati nella stessa classe terapeutica. Diventa così una scommessa da jackpot azzeccare subito la giusta combinazione o il farmaco adeguato, predisponendo il paziente ad un calvario senza fine. Pochi fortunati riescono nell'intento, ma la maggioranza entra in una trappola che si stringe inesorabilmente nel lungo periodo fino a diventare soffocante. Molto più soffocante della presunta malattia da curare. 

In conclusione, la teoria delle squilibrio chimico ha un fondamento per me, solo nell'espresione biochimica di un disagio che risiede da altre parti, una manifestazione chimica locale di un problema generale che dovrebbe essere considerato invece  nella globalità olistica di corpo e mente. Aggredire il cervello per sopprimere i sintomi, senza guardare ad altro è diventato la norma nella psichiatria al primo intervento. Solo successivamente, semmai, si può procedere con terapie 'olistiche' integrative (le uniche potenzialmente risolutive) ma sempre come 'supporto' alle loro droghe che andranno necessariamente mantenute.
In questo modo le persone dovranno lottare due volte: per una malattia che comunque è diventata cronica, e per contrastare i numerosi problemi fisici e psichici dovuti proprio alla terapia, spesso a confondere sintomi con effetti indesiderati.
Se comunque la si veda, bisogna lottare, allora non sarebbe meglio lottare per un solo problema?

Note

(1)  Fonte: Mad In America
(2)  Citazione presente nel libro "A SENTENCE EXPLORER" di Anne-Marie Robb

mercoledì 2 novembre 2011

La medicalizzazione della personalità

Si può dire che la personalità sia una malattia?
Eppure alla fine è questo che la psichiatria pretende di curare: una personalità non conforme ad uno standard sempre più labile e sfumato.Una nuova malattia (IED) sta per essere introdotta nella categoria assai dubbia del "disturbo della personalità" che identifica tutti quegli individui con un carattere difficile: ribelli, violenti e dediti all'uso di sostanze psicotrope. Questo anche perché per esempio  c'è molta riluttanza a diagnosticare i  bambini troppo sensibili o vivaci, come bipolari o borderline (1) . E il mercato dell'infanzia deve essere esteso. La scusa è che bisogna intervenire presto con la medicalizzazione perchè altrimenti da adulti sarà molto peggio. Quindi meglio drogarli fin da piccoli con conseguenze inimmaginabili sul loro cervello in fase di sviluppo.

C'era una volta 

Tutto ciò che un tempo erano normali momenti di crisi, dovuti a cause psicologiche, ambientali o conseguenze di malattie organiche, spesso risolti tramite l'empatia, l'accoglienza e il sostegno della comunità, adesso vengono alimentati, resi cronici proprio da quelle medicine che dovrebbero curarli.
Queste non sono fantasie. Una volta la malattia mentale era generalmente guaribile. Persino la schizofrenia, mostro sacro della psichiatria, aveva una naturale percentuale di remissione del 50%.
Andava ancora meglio per il disturbo bipolare:

"Prima del 1955, il disturbo bipolare era una malattia rara. Ci sono stati negli USA solo 12.750 persone ricoverate con quel disordine nel 1955. Inoltre, c'erano solo circa 2.400 "primi ricoveri" per disturbo bipolare annualmente negli ospedali psichiatrici del paese.
I risultati erano abbastanza buoni. Il 75% per cento o giù di lì dei pazienti con primo ricovero avrebbe recuperato entro 12 mesi.
Nel lungo termine, solo circa il 15% di tutti i pazienti al primo ricovero sarebbero diventati malati cronici, e dal 70% al 85% dei pazienti avrebbero avuto risultati positivi, il che significava che lavoravano e avevano una vita sociale attiva." (2)

Infine la depressione: 
 
Prima della diffusione degli antidepressivi, i pazienti depressi regolarmente ne uscivano bene, e molti non subivano un secondo periodo di depressione maggiore. Oggi, la stragrande maggioranza dei pazienti con diagnosi di depressione maggiore e trattati con antidepressivi soffrire di ricorrenti attacchi della malattia. Ma cosa significa guardare la depressione non medicata oggi? Ha un decorso a più lungo termine rispetto a una depressione medicata? Ricercatori in Europa, Canada e Stati Uniti hanno condotto una serie di studi che aiutano a rispondere a questa domanda.
In uno studio NIMH di "depressione non trattata", il 23% dei pazienti non-medicati recupererebbe in un mese, il 67% in sei mesi, e l'85% entro un anno. Questo moderno studio ha mostrato che il consiglio dato dal NIMH alla fine del 1960 era corretto: La maggior parte delle persone colpite da un attacco di depressione maggiore, naturalmente recupera. "Se ben l'85% degli individui depressi senza trattamenti recuperano spontaneamente entro un anno, sarebbe estremamente difficile dimostrare un risultato superiore con qualsiasi intervento farmacologico". (2)

Anche un bambino capirebbe che è palese una relazione diretta tra cronicità e  cure psichiatriche, nonostante ciò, viene comunemente detto che tali malattie  tendono a peggiorare e cronicizzarsi se non vengono trattate con farmaci..
Dal momento che la personalità è cronica, è probabile che se una persona non trova il modo di correggersi tenderà sempre a cadere negli stessi schemi. Questo si chiama coazione a ripetere o tendenza karmica.
Per esempio, una personalità intelligente e sensibile, è per forza di cose soggetta a sperimentare anche momenti durissimi di crisi esistenziale in un contesto sociale alienante come il nostro. I tanti fortunati di una volta trovavano la forza di vivere grazie alle loro capacità espressive in un ambiente più favorevole ai rapporti umani e inoltre vi erano minori problemi di intossicazione ambientale e alimentare.
Oggi invece si parla di un terzo dei malati che soffrono non medicati perchè inconsapevoli o refrattari ai farmaci. Una spina nel fianco per i mancati guadagni .
Tra non molto, all'uscita del nuovo DSM V le vittime potenziali cresceranno enormemente. Infatti si stanno aggiungendo altre caratteristiche 'patologiche' della personalità, tali da includere tutte le persone indistintamente.
Ecco per concludere l'unica malattia che rimarrà esclusa da tutte le future revisioni del DSM, forse l'unica che invece ci dovrebbe stare:



  1. Psi-Personality (successivamente abbreviato in PP), ricerca sempre ambiti privati o nascosti dove agire.
  2. PP ha tendenza a nascondere le reali finalità del proprio agire.
  3. PP inganna sistematicamente, anche se non sempre consapevolmente, sugli effetti del suo agire.
  4. PP manifesta grande disagio quando deve agire pubblicamente e si serve, per questo, di persone che gli ubbidiscono in maniera acritica.
  5. PP agisce spesso in modo illogico, mai su base razionale.
  6. L'espressione di un punto di vista diverso dal suo, provoca sistematicamente in PP profonde alterazioni disforiche del tono dell'umore (s'incazza).
  7. Allorché viene messo in luce e dimostrato un suo comportamento gravemente lesivo nei confronti del prossimo, anziché riconoscere il proprio errore e fare promessa di ravvedimento o semplicemente stare in silenzio, PP prolude in una serie di affermazioni illogiche: dice di essere nel giusto, di agire razionalmente, di avere basi scientifiche, di essere una sorta di benefattore, arriva perfino ad accusare la propria vittima di ingratitudine.
  8. PP ha estremo bisogno di mezzi di potere: persone ubbidienti, una posizione che gli consente il ricatto, connivenze e/o appoggi istituzionali.
  9. Un tratto molto caratteristico di PP è quello di non agire quasi mai di propria iniziativa, ma su richiesta di persone con sindrome simile alla sua e portate ad abusare nei confronti di soggetti deboli: bambini, adolescenti, anziani, carcerati, malati.
  10. Come triste tratto finale, PP è estremamente difficile da aiutare, sia per le caratteristiche proprie della sua patologia per cui difficilmente riconoscerà tratti erronei in sé, sia perché, nei rari casi in cui PP richiede aiuto, la tendenza sarà quella di rivolgersi proprio a quelle persone che in gran maggioranza soffrono della stessa sindrome: psichiatri, psicologi, psicoanalisti.

    NOTE
    (1) Phd. Nial Mclaren
    (2) R.Whitaker - Mad in America

     

venerdì 28 ottobre 2011

La parola ai medici

Come ho già ripetuto, non sono contrario ai farmaci per ideologia ma solamente perché ritengo inconcepibile intossicare il corpo per guarire da una malattia che a sua volta può provenire da un'intossicazione.
Anche nel campo psichiatrico 'olistico' i medici si dividono tra quelli che in nessun caso userebbero farmaci psicotropi ed altri che li considerano indispensabili in casi estremi.
La gravità di tali casi dipende anche da una valutazione soggettiva.
Un conto però è sentire un paziente parlare del suo desiderio di farla finita, altro è vedere una persona che si tortura con atti di autolesionismo oppure manifesta violenza sugli altri.
Sebbene anche queste situazioni estreme, possono essere gestite e risolte in modo 'pacifico' applicando tecniche specifiche, i medici preferiscono usare la sola cosa che riconoscono efficace, ovvero i farmaci, piuttosto che sforzarsi di capire le ragioni dell'altro, entrare per un po nel suo mondo. (1)
Ecco qui alcuni pensieri di medici che a mio parere, hanno veramente abbracciato il loro giuramento di "Primo non nuocere":


Dr. Luigi Cancrini, Psichiatra

La depressione clinica è diventata il riferimento per ogni forma di disagio psicologico. Siamo tutti malati e tutti da curare: con i farmaci, naturalmente. Lo dicono con sicurezza 'scientifica' gli psichiatri-vedette della pillola a tutti i costi. Lo ripetono ormai da anni in libri, giornali e trasmissioni televisive, con un martellamento persuasivo che ha, purtroppo, avuto i suoi effetti. Il paradosso è che l'allarme è tanto amplificato, quanto la terapia proposta - il farmaco - è improntata a sopprimere ogni riflessione e ogni approfondimento sui motivi della sofferenza. Si grida alla depressione, ma la cura è il silenzio.


Quali consigli si possono dare a chi sta scivolando in uno stato psichico patologico?
Gli direi con umiltà i cercare l’aiuto di qualcuno che possa aiutarlo temporaneamente nel decodificare i segnali del suo disagio, nel capire il senso, cogliendo così l’opportunità di riorientare la sua vita. Gli direi di scegliere con accortezza uno specialista che non instradi verso l’utilizzo del farmaco, ma che sia disposto e preparato alla via psicoterapeutica e ad un approccio olistico.
Gli direi infine di riferirsi a dei gruppi di auto aiuto, dei gruppi tra “pari” in cui è possibile trovare importanti condivisioni, scambi e supporto reciproco, partendo da similari esperienze di sofferenza.
Quali stili di vita possono aiutarci a mantenere un equilibrio psicofisico e relazionale?
Produrre buoni pensieri, avere buone emozioni, dire parole buone, fare buone azioni: sorridere a se stessi, agli altri, al mondo. E salutare con il cuore bene-dicente. Portare gioia nella vita: amare, lavorare e pregare. Non uccidere, neanche gli animali: diventare vegetariani, ancor meglio Vegan.
E infine non dimenticare che chi punta sulla pastiglia, la salute non la piglia!



Non può esserci infatti vera guarigione se non si comprende prima il senso profondo della propria sofferenza; non può esserci vera guarigione se non si trascende se stessi e l’equilibrio esistenziale prima strutturato.
Spesso gli psicofarmaci, mal utilizzati, impediscono la presa di coscienza delle vere problematiche a monte della malattia. Problematiche ben più ampie di quanto il riduzionismo farmacologico accademico imperante ci voglia imporre.
Un cambiamento di paradigma in psichiatria è da anni rincorso, con vicende alterne.
Una visione olistica del problema, dove i fattori psicologici, sociali, antropologici, spirituali e culturali, si fondono, nella genesi e cura dei disturbi psichici - in maniera circolare - con il ruolo dell’alimentazione, della tossicità ambientale e della iatrogenesi farmacologica laddove documentata, potrebbe essere, a nostro avviso, un nuovo coraggioso modo di procedere.
Da tale nuovo paradigma scaturirebbe un’appropriato utilizzo degli psicofarmaci, riservato alle condizioni di contenimento del disagio mentale, non diversamente trattabile.
A nostro avviso, lo psicofarmaco è una terapia sostitutiva, e per definizione le terapie sostitutive sono indicate per sostituirsi al biochimismo interno quando insufficiente, non certo per stimolarlo.



Ma il concetto più psichicamente mostruoso ed inaccettabile che l'industria-psichiatrica ha inventato, consiste nel << malato che resiste alla terapia>>: quando la psichiatria non guarisce, bolla il malato come “cronico” e, piuttosto che accettare il suo fallimento e dire la verità, “incolpa” il paziente del suo insuccesso il quale diventa capro espiatorio…..di se stesso! Invece di essere l'emblema evidente della sconfitta scientifica, furbescamente viene “medicalizzato” l'insuccesso, con il marchio di ...<<resistente alla terapia>>.



..Sono state coniate purtroppo, anche le cosiddette "malattie Iatrogene" o da farmaci, che
invece di sancire, con il minimo di buon senso rimasto a noi medici, il momento di interrompere il danno introdotto dai farmaci stessi, vengono invece trattate indovinate con cosa? Eh si proprio con altri farmaci!



La mia lunga attività di medico oncologo e di ricercatore, assolutamente libero ed indipendente dalle multinazionali del farmaco o da qualsiasi altro potente interesse economico organizzato, mi porta a sostenere con assoluta convinzione che qualsiasi malattia non è altro che una risposta perfettamente normale ad un ambiente patologico o ad uno stile di vita patologico, detto altrimenti ”anormale”.
Ma l’ambiente patologico e lo stile di vita patologico sono la naturale conseguenza di uno spirito malato. Uno spirito malato è uno spirito caratterizzato da pensieri, convinzioni, valori, emozioni, sentimenti ,stati d’animo patologici.



Per quanto si senta dire che questo disturbo venga efficacemente "curato" dalla medicina tradizionale è bene fare alcune considerazioni:

  • la terapia farmacologica, anche se continuativa, non esclude affatto l'eventualità di possibili ricadute;
  • la terapia farmacologica non guarisce dalla malattia, possiamo dire al massimo che riesce (in maniera più o meno efficace) a controllarla;
  •  i pazienti che si rivolgono all'omeopatia lo fanno in genere sia perchè sentono gli effetti collaterali, spesso importanti, dei farmaci che assumono, sia perchè si rendono conto che il farmaco non aiuta a risolvere il loro problema (= guarire la persona) ma si limita a tenere sotto controllo in maniera sintomatica una situazione che è comunque destinata a rimanere tale e quale senza nessuna prospettiva di vera guarigione.


La sesta considerazione di base della medicina olistica è che ogni malattia è l'effetto dell'ignoranza o inconsapevolezza delle leggi del Tutto. Guarire quindi significa innanzitutto rientrare in una profonda armonia con il tutto, evolvere interiormente, trasformare la propria inconsapevolezza in coscienza luminosa ed amorevole di sé. La via della guarigione diventa la via della realizzazione, della saggezza. Per questo le grandi medicine del passato sono sempre state fatte risalire a grandi personaggi spirituali, ai Budda della medicina, ai maestri di saggezza, agli uomini ed alle donne di conoscenza. Ad essi spettava il compito di guarire l'animo delle persone, oltre che il corpo e la mente. Nelle tradizioni taoista, greca, ayurvedica, tibetana, la legge del tutto veniva chiamata: Dharma, Logos, Tao. Queste leggi di natura regolano le nostre cellule, il metabolismo del nostro corpo, così come il ritmi più sacri della vita e della morte.



Antidepressivi:
Si tratta di farmaci altamente tossici, dei quali è largamente ignoto il meccanismo d’azione e che vengono spesso utilizzati sulla base di ipotesi non provate.
[..]
Gli psicofarmaci non hanno la possibilità di risolvere problemi, ma regolarmente li aggravano e ne introducono di nuovi, tra cui appunto impoverimento spirituale e dipendenza. Se un tempo non lontano erano solo gli psichiatri (ma non tutti) che promuovevano cure farmacologiche per la mente (fa parte della cosiddetta gestione terapeutica psichiatrica, quello di convincere la persona ad assumere farmaci affermando che otterrà dei risultati certi), mentre i medici di famiglia erano sostanzialmente contrari, oggigiorno la maggior parte di questi ultimi, spesso in buona fede, sono pienamente coinvolti e i farmaci che danno dipendenza sono ovviamente i più remunerativi. La dipendenza dagli psicofarmaci è del tutto simile alla dipendenza dalle droghe, con l’aggravante che i primi vengono promossi da parte di chi invece dovrebbe mettere in guardia dal loro uso, visto che l’unica conferma scientifica è relativa alla loro tossicità e pericolosità, il resto sono solo congetture mai confermate.


NOTE
(1) Beyond Belief  - Tamasin Knight  2009

lunedì 24 ottobre 2011

La famiglia e il modello medico

Ci è sempre stato detto che il modello medico della malattia mentale è positivo specialmente per la famiglia. I familiari di un 'paziente psichiatrico' si sentiranno sollevati da ogni responsabilità in quanto la colpa è da attribuire esclusivamente alla malattia, pertanto il paziente in primo luogo non è responsabile del suo stato, né lo sono in alcun modo i suoi familiari.
Non è una questione di colpa, né di una decisione intenzionale, o deliberata del paziente. Il suo comportamento dipende da qualcosa che sfugge al loro controllo. Chi può biasimare una persona che è in gran parte vittima di forze al di la del suo controllo?
Questo modello ha dato speranza alle famiglie. Una speranza basata sulla fiducia nell'efficacia del trattamento, della gestione dei sintomi in modo da non stravolgere l'integrità familiare. Così il compito della famiglia si è ridotto ad aiutare il proprio congiunto ad accettare la sua condizione di malato e assicurarsi che segua con devozione la terapia prescritta, sicuri di ridurre al minimo gli effetti disastrosi della malattia e conseguenti problemi familiari.
Non è affatto raro che i familiari vengono anche istruiti in modo da medicalizzare di nascosto mescolando sostanze nei cibi qualora il proprio congiunto si rifiuti di assumere farmaci di un certo tipo.Cosi sono preparate e spesso ben liete di spedire il familiare verso il ricovero coatto qualore ce ne fosse bisogno.

Se osserviamo la realtà, purtroppo per molte persone le cose vanno assai diversamente. La 'cura' non è stata all'altezza delle aspettative, fino a diventare peggiore della malattia stessa. Per molti, la ricerca del 'giusto' farmaco diventa una vita segnata da una qualità sempre più ridotta man mano che passa il tempo. Tutto questo peggiora ulteriormente l'ambiente familiare minacciando la vita quotidiana e le relazioni.
Alle famiglie viene detto che quasi tutti i problemi sono una conseguenza della supposta malattia mentale, compresi gravi problemi di intolleranza ai farmaci. L'effetto è che mentre i pazienti non possono essere biasimati per la loro condizione patologica, vengono spesso incolpati di non sottostare adeguatamente al protocollo medico.
L'amore verso il congiunto, diventa così un potere da esercitare con la convinzione di sapere con certezza di cosa egli ha bisogno. Questa 'certezza' non nasce spontaneamente dall'osservazione, in gran parte proviene dai medici di cui la famiglia si fida in modo acritico, dalla cultura medica che per tutta la vita ha inculcato in  noi il  concetto che le medicine vanno prese perché fanno guarire.
Se ho la febbre prendo un'aspirina e mi passa, allo stesso modo prendo psicofarmaci e tutto passa.

La famiglia tenderà a vedere i conflitti come ulteriore prova di malattia mentale, incoraggiata a spingere ancora di più sul modello medico con il risultato di ritrovarsi lacerata. Nessuna famiglia può sopravvivere a lungo quando ad un suo membro gli viene detto che non può prendere decisioni in modo autonomo. E' ovvio che una persona ad un certo punto si sente tradita.
Accettare questa definizione significa non solo cambiare ciò che io penso di me stesso (inadeguatezza, fragilità, inaffidabilità ecc) ma anche ciò che gli altri pensano di me, con pesanti ripercussioni nella sfera lavorativa, relazionale e affettiva.
Non sorprende quindi che molte persone sono riluttanti ad esporre pubblicamente il proprio problema . Questo non significa che non necessitino di aiuto, piuttosto non vogliono peggiorare una situazione già di per sé pesante.

All'inizio la famiglia è mossa da sentimenti di amore e compassione, ma questi sentimenti andranno sempre più a deteriorarsi. Vivere con qualcuno che ha problemi mentali è un trauma per tutta la famiglia nella sua interezza, tutti vengono danneggiati in un modo o in un altro e il modello medico aiuta spesso soltanto ad aggravare i conflitti esistenti se non aggiungerne di nuovi.
E' davvero triste sentire storie di recupero, di persone liberate nonostante la contrarietà della famiglia e non viceversa per il suo appoggio come invece dovrebbe essere.
Se le famiglie veramente appoggiassero il desiderio di recupero del loro congiunto, considerandolo come qualcosa di più di una etichetta psichiatrica, se capissero l'assurdità di un atteggiamento acritico di conformità sulle cure psichiatriche nonostante i fallimenti, allora forse il recupero diventerebbe un'opzione possibile per più persone.

Inspiration: Hopeworks community

giovedì 20 ottobre 2011

Farmacrazia

In un articolo pubblicato da medicitalia.it si legge di un rapporto di uno studio che stabilisce al 38% l'incidenza dei disturbi mentali nella popolazione europea: + 40% dal 2005. “Ci stimo avvicinando a grandi passi verso una medicalizzazione totale”, afferma lo psichiatra americano Allen Frances.

Attualmente circa la metà della popolazione da 6 anni in su, risulta affetta da una malattia cronica che dovrà essere curata con farmaci specifici vita natural durante. Una persona su due sono già un mercato molto allettante ma evidentemente non basta ancora. Il nuovo manuale diagnostico in lavorazione, il DSM V aggiunge altre nuove patologie psichiatriche per allargare ulteriormente il mercato. Tuttavia emergono molte critiche, specialmente da quei medici che si stanno accorgendo come le prescrizioni di psicofarmaci siano ormai diventando una norma, ancor prima di indagare (non senza fatica) su possibili cause organiche , condizione di salute generale, intossicazione ecc.
Meglio quindi liquidare subito il paziente, dopo 15 minuti , mezz'ora di colloquio con la sua brava ricetta in mano.

Questa pratica degrada sia il medico, che si vede ridotto a pusher autorizzato e ancora di più il paziente al quale viene fornita senza tanti preamboli una prospettiva di sofferenza senza fine. Certo, gli viene detto che curandosi riuscirà a stare bene anche a lungo se segue scrupolosamente le istruzioni. Egli osserva dall'esterno i suoi pazienti ed ha già stabilito il suo criterio di salute mentale: i suoi pazienti stanno bene se non hanno crisi. Non importa se sviluppano altre patologie in seguito alle cure, se hanno ulteriori problemi fisici, se aumentano di peso in modo abnorme, se perdono la vitalità . la concentrazione , la memoria , il desiderio e la sensibilità verso le emozioni. Quello che conta è la vittoria sui singoli sintomi della malattia , del marchio indelebile di cui il paziente è portatore cronico.

Un'amica mi raccontò cosa gli disse il suo psichiatra, quando gli fece una domanda sul farmaco che prendeva, se poteva avere effetti spiacevoli sui suoi reni già malandati. Gli disse semplicemente : “Ti preoccupano più i tuoi reni o la follia?” U altro più cauto avrebbe risposto come ci si aspetterebbe, cioè consigliare un farmaco più tollerato dai reni.
“Meglio sovrappeso e diabetici che psicotici!”, questo è il ragionamento che normalmente fanno.
Perché in fondo sanno che questi rimedi non sono proprio caramelle, ma davanti alla prospettiva della follia diventa tutto lecito, anche rinnegare il proprio giuramento “Primo non nuocere”.
E comunque sempre meglio la contenzione, il TSO e le iniezioni forzate rispetto al rogo, la deportazione , il coma insulinico e la lobotomia del passato. Si può dire di essere in un certo senso fortunati, come pazienti/utenti psichiatrici a vivere in questa epoca.
Pure molti medici cosiddetti olistici, davanti alla malattia mentale si tirano indietro, consigliano il parere di uno psichiatra con la scusa: “Esistono malattie che richiedono inevitabilmente psicofarmaci”.
Il movimento dei sopravvissuti/utenti psichiatrici è anch'esso diviso tra chi proclama la necessità dei farmaci e chi li evita e sconsiglia.

A questo punto ai pazienti non rimane altro che subire , oppure diventare esperti loro stessi della propria salute mentale, studiare le caratteristiche dei farmaci e eventuali rimedi alternativi, leggendo esperienze di altri nelle stesse condizioni che ne sono usciti ecc.. in altre parole : “Dovete capire da voi se i farmaci sono parte della soluzione o piuttosto parte del problema” come diceva Judi Chamberlin.
In base a questo decidere cosa è meglio per noi: accettare di intossicarci a vita, consci delle difficoltà oppure scegliere la via della libertà, consapevoli delle enormi capacità di guarigione del nostro corpo. Una via anch'essa non certo priva di ostacoli ma possibile.
In gran parte questa consapevolezza viene negata dalla diagnosi in poi, le persone accettano loro malgrado questa pesante sentenza, rincuorate dalla certezza di avere a che fare con una subdola malattia 'curabile' proprio come il diabete.

Ci sono innumerevoli cause organiche nelle quali sono state individuate relazioni con sintomi mentali, ma queste relazioni non vengono quasi mai prese in seria considerazione.
In caso di psicosi, la cosa più urgente da fare è somministrare veleni tossici per attutire i sintomi, segnando già chimicamente i malcapitati/e per il resto della loro vita.
Se si ha fortuna e se la terapia ha un termine, può darsi che l'episodio non si ripresenti in futuro, però gran parte delle persone restano intrappolate a vita in questa morsa.
Più andiamo avanti con l'assunzione di queste sostanze, più difficile sarà la loro dismissione fino a diventare praticamente impossibile liberarsene. Anche per questo motivo molti scelgono di rimanere sui loro farmaci pur consapevoli dei danni fisici e psichici che inevitabilmente subiscono.

A chi mi chiede perché mi accanisco sempre contro i farmaci rispondo che:
intanto ciascuno dovrebbe essere libero di scegliere cosa è meglio per sé, che questo ci viene negato dalla coercizione e dal lavaggio del cervello che ci fanno per convincerci della bontà delle loro cure.
Allo stesso tempo ci nascondono astutamente possibili rimedi alternativi per ragioni di convenienza pratica, marketing e ignoranza. Quei rimedi adottati da tutte quelle persone che hanno sperimentato e stanno sperimentando la remissione dalla malattia mentale senza usare droghe di sintesi.
Libertà non significa far finta di non avere un problema, ignorare i sintomi, soffrire gratuitamente per gusto sadico. Significa piuttosto libertà di conoscenza , di scelta ragionata e consapevole.
In definitiva si tratta di scegliere tra la violenza e la compassione verso noi stessi. La scelta farmacologica è un atto di violenza verso il nostro corpo per stare bene, quando si può stare bene lo stesso  senza bisogno di avvelenarci. Questo lo sanno gli animali allo stato libero, lo sapevano gli umani da millenni ma noi a quanto pare siamo così evoluti che ce ne siamo dimenticati.