Premetto che sia chiaro ancora una volta che non sono tassativamente contro l'uso di sostanze chimiche per stare bene, per evitare sofferenze inutili quando tutte le altre strade sono state provate. Chi riesce a trasformare una situazione dolorosa che si protrae da anni grazie ai farmaci e soprattutto a continuare a beneficiarne per lungo tempo ha tutta la mia ammirazione. Non sarebbe questo un problema se davvero funzionasse così per tutti.
Come ho avuto occasione di dire altre volte, l'esperienza vissuta di altri è di grande importanza per aumentare la nostra consapevolezza.
Certo che, come esistono esperienze negative con la psichiatria, esistono anche esperienze positive, ma tuttavia queste ultime a ben vedere sono una minima parte rispetto alla marea di persone che vengono alla fine dei conti, danneggiate dal trattamento psichiatrico. Una famosa attivista americana soleva dire:
"Certo, esistono anche esperienze positive con la psichiatria biologica, esistono alcuni aghi nei pagliai, ma questo non significa che i pagliai sono il posto migliore per custodire gli aghi".
Meaghan ha attraversato l'inferno del trattamento senza fine della biopsichiatria e i suoi tipici cocktails di molecole tossiche. Riesce ad essere convincente con parole semplici per consigliare a questo paziente di scegliere la libertà rispetto alla schiavitù farmacologica.
Lontana mille miglia da idealismi o autocelebrazione, racconta in modo schietto le cose come stanno, con sincerità ed onestà senza giri di parole, quanto sia ancora difficile continuare a sopravvivere dopo una simile esperienza.
Dedicata a tutti quelli che si accingono o stanno facendo il grande passo coraggioso di liberarsi dalla biopsichiatria.
Lettera ad un paziente
di Meaghan Buisson
20 ott 2014
Gentile paziente,
Tutto quello che so di te è che:
a) Sei una donna
b) Sei una paziente del dottor C.
c) Stai assumendo antidepressivi
d) Stai pensando di smettere i farmaci
Tutto quello che sai su di me, è tutto ciò che ho scelto di dirti.
Cominciamo con una confessione: dopo aver detto che sarei stata felice di scriverti, ho prontamente evitato di farlo per quasi due mesi. Continuavo a rimandare perché mi sentivo come se aspettassi di essere in uno stato di perfezione, prima di condividere le mie esperienze. Volevo il conforto egoista di essere totalmente sana e senza problemi. Ero preoccupata che ci si aspetti che io sia quella che ha dismesso i suoi antidepressivi e ora la sua vita è perfetta!
Quel genere di cose insomma.
Il problema è, che non è questo che io sono. Inoltre, mi sono resa conto, se sei anche solo lontanamente come me, l'ultima cosa che probabilmente desideri leggere è una tesi di qualcuno che si vanta di come la sua vita è meravigliosa e quanto tutto sta andando ala grande. Francamente, se questo era il caso, non sarei andata nell'ufficio del Dottor C. (uno psicologo ndt)
E nemmeno tu.
Quindi cerchiamo di essere onesti; la mia vita è tutt'altro che perfetta. Sto scrivendo questa lettera di Sabato mattina, indossando un cast fino al ginocchio e con la consapevolezza inquietante che il periodo più lungo che ho passato negli ultimi diciassette anni di vita senza autolesionismo o problemi alimentari si conta in giorni, o occasionalmente, settimane. Sto scrivendo chiedendomi cosa diavolo dovrei dire a te, e quanto hai veramente bisogno di sapere di me. Sto cercando di capire un modo per spiegarti che ho vissuto attraverso l'inferno, alla perpetua ricerca della salute, dell'equilibrio e della guarigione. Ora vado in ufficio del Dott. C. regolarmente scuotendomi con terrore incontrollabile, solo per ricomporre me stessa al termine di ogni sessione, così posso attraversare un altro tratto del mio percorso cercando di adattarmi e facendo finta che tutto vada bene.
Ci sono giorni in cui la depressione si avvolge intorno a me come una coperta. Faccio fatica a mantenere un lavoro regolare, ingaggio una battaglia costante contro i miei Gremlins interiori che mi sussurrano brutti pensieri autodistruttivi, e mi preoccupo ogni giorno di far sbarcare il lunario. A volte mi ritrovo a piangere senza motivo apparente per la strada, in metropolitana, a scuola, nel negozio di alimentari, e in qualsiasi altro luogo inappropriato. Non ho tutte le risposte per la tua vita, non più di quelle che posso dire di avere per la mia.
Ma quando guardo indietro ai miei anni passati e la vita che conduco, al di là dei ricordi di traumi, abusi e tristezza che sento ancora, arriva una gratitudine innegabile. Sono una sopravvissuta. Sono sveglia, creativa, passionale, forte. Ho imparato a piangere per il mio passato, ridere per il mio presente, sperare per il mio futuro. Ho imparato a stare in piedi per quello che penso sia giusto, a lottare, a credere in me stessa abbastanza per trasformare i miei sogni in realtà, ad assumermi i rischi necessari per farlo, e soprattutto, apprezzare e beneficiare delle lezioni lungo il percorso.
Ho scoperto che è meglio, anche se è ancora una sfida, concentrarsi sul prendere le cose un passo alla volta e non dimenticarsi di respirare.
Attraverso gli anni trascorsi nel sistema medico, ho imparato che la depressione (o qualunque variante ed etichetta provvisoria venga data) non scomparirà con le pillole. Non è qualcosa che posso volontariamente tenere a distanza e dire 'mai più dolore' ad ogni incontro. Anche se io detesto gli inevitabili alti e bassi del recupero, sto iniziando a riconoscere che sono semplicemente un dato di fatto e sono stati compiuti dei progressi. Vivendo senza farmaci, ho imparato che anche i giorni peggiori finiranno, posso ancora sperare sul sole, dove mi sembra vi siano solo nuvole, e che in ogni momento c'è la possibilità di andare ancora avanti di un altro piccolo passo.
Ogni nuovo giorno è un'altra possibilità per cambiare le cose.
Ma la cosa migliore è che io sono più viva. E io mi sento viva perché sono fuori dai farmaci. Ecco da dove inizieremo.
Ho trascorso sette anni di cure psichiatriche. Da quando avevo diciotto anni fino a quando ne avevo 24, sono stata drogata ed etichettata con varie psicosi, disturbi dell'umore e stati depressivi. Il giorno in cui ho smesso di prendere le pillole, assumevo tre tipi di antidepressivi (Paxil, Effexor, Zoloft), e un cocktail di altri farmaci psichiatrici: Lamotrigina, Risperidone, Valproato e Ativan. In precedenza, avevo anche preso Prozac, Wellbutrin e litio.
Quando smisi di prendere i farmaci, non c'era una sola persona nel mio mondo che avrebbe sostenuto questa decisione. Lo psichiatra e il mio medico di famiglia mi dissero di punto in bianco che mollare tutto di colpo mi avrebbe ucciso. "Preferisco essere morta", risposi, "che spendere anche un solo giorno in più a vivere così." Allora entrambi si zittirono e io gettai le mie medicine nel gabinetto. (sconsigliatissimo! ndt)
Col senno di poi, non avrei mai consigliato a chiunque di smettere bruscamente come ho fatto io. Il terrificante rimbalzo che ho passato avrebbe potuto essere facilmente evitato se fossi stata disposta a fare una riduzione graduale e più sicura o, francamente, se avessi avuto un medico di supporto per seguire una cosa del genere. Dato che però non era il caso, l'ho dovuto fare per conto mio, l'unico modo che conoscevo. Indipendentemente da ciò, mentre vorrei ora farlo in modo diverso (cioè lentamente e idealmente con il supporto di un medico compiacente), la mia scelta sarebbe stata la stessa. Smettere di prendere i farmaci psichiatrici è stata la migliore decisione che abbia mai preso in vita mia.
Adesso ho appena superato i 30 anni. Anche se devo ancora lottare con le conseguenze iatrogene del mio passato tossico, non un giorno è passato da quando non ho reso grazie per essermi tolta di dosso gli psicofarmaci. Anche i miei giorni peggiori di adesso sono ancora meglio dei miei giorni migliori di prima. Quando mi guardo indietro, l'unico modo in cui posso descrivere quello che era per me prendere psicofarmaci, era come vivere in un guscio vuoto, semplicemente lasciarsi trascinare dai movimenti della vita. Mi spaventa ancora pensare a come mi avevano cambiato molto i farmaci e al fatto che ho dovuto dismetterli al fine di apprezzare questo: con quelli non avrei potuto rendermi conto di come sarei diventata; attenuata e priva di speranza. Allo stesso modo, durante l'assunzione di antidepressivi, non ho avuto la possibilità di recuperare, i farmaci mi tenevano rinchiusa nella prigione della mia mente; incapace di pensare, sono stata sepolta dalla depressione. "Questo è il solo modo in cui potevo stare" hanno detto i medici ai miei genitori. Ma la cosa peggiore, mi è stato detto che avrei dovuto prendere psicofarmaci per il resto della mia vita, che c'era qualcosa di sbagliato nel mio cervello e avevo bisogno di antidepressivi "come un diabetico necessita di insulina."
Quando penso a questo, e ricordo come ero diventata con i farmaci, quanto vicino dovevo essere a stare in quel modo se non fossi stata disposta ad assumermi dei rischi e combattere, mi vengono i brividi. La persona che ero durante l'assunzione degli antidepressivi adesso per me è una perfetta sconosciuta.
Questo non significa che è stato facile. C'è una parte di me che ancora a volte si chiede se la mia vita sarebbe stata migliore con i farmaci; o più precisamente, che cosa sarei se tornassi a prendere farmaci senza sapere ciò che so adesso, come voler essere intrappolata in una gabbia, suppongo, senza conoscere le sbarre. Nei rari momenti in cui penso a questo però, la risposta, per me, è sempre un rapido, veemente "no". So cosa vuol dire realmente essere sana, ben lontana dai farmaci, mai più prenderò un altro antidepressivo e io continuerò a combattere con tutto quello che comporta stare lontano da altri farmaci psichiatrici. Io non perderò mai più la mia identità, o accetterò la sensazione di essere in qualche modo emotivamente disfunzionale, rotta, e bisognosa di 'riparazione chimica.'
La persona che sono adesso è molto meglio di come sia mai stata, o potrebbe mai sperare di essere con gli antidepressivi.
Dismettere i farmaci, per me, è stato come emergere da una nebbia. Di conseguenza, una delle sfide che ho trovato è che invece di essere emotivamente insensibile, ci sono delle volte che mi sento tutta in ipersensibilità e il mondo può diventare un luogo caotico veramente spaventoso. Ci sono giorni in cui sono sopraffatta, e vorrei poter in qualche modo solo intorpidire me stessa per non sentire nulla, anche se solo per un attimo, piuttosto che sentire troppo tutto in una volta. Ma quando questo accade, ho imparato a fare un passo indietro e prendere una pausa fino a quando posso sistemare da qualche parte gli stimoli che si riversano nel mio cervello. Mi piace questa cosa. Sono orgogliosa del fatto che sono io a farlo e non è una droga a creare il mio benessere.
Allo stesso modo, io ancora occasionalmente lotto con gli episodi depressivi, ma sono molto minori di quando li avevo mentre assumevo antidepressivi! Ancora più importante, forse è il fatto che con una mente chiara e libera dalla droga, anche quando sto avendo un 'incantesimo' riesco ad imparare ad affrontare realmente i miei stati d'animo e autoregolarmi sempre meglio. Cose come journaling, meditazione, yoga mi hanno portato molta più guarigione e salute nella mia vita di qualsiasi tossica molecola chimica che abbia mai preso.
L'assunzione di un farmaco non è una soluzione.Tutto quello che può fare è mascherare il nostro vero essere.
In definitiva, la decisione di continuare o interrompere un farmaco psichiatrico è una scelta del tutto personale. Tutto quello che io, o il dottor C., o chiunque altro può fare è offrire la propria esperienza, opinioni e fatti medici su cui basare la tua scelta. Alla fine della giornata però, qualunque cosa tu decida di fare con queste informazioni dipende da te. Se sei contenuta col farmaco, se è una scelta perfettamente giustificata che hai fatto, è la tua vita. Data la preziosità di ciò che è in gioco, tutto quello che sto dicendo è, per favore, prendi una decisione informata.
Indipendentemente dal fatto di prendere o dismettere i tuoi antidepressivi, basa le tue azioni su una razionale, oggettiva, scelta ben ponderata. Non lasciare che la paura dell'ignoto lontano dai farmaci ti possa spaventare. D'altronde non sei condannata ad assumere antidepressivi per il resto della tua vita e lasciarli non significa che finirai ancora più depressa. Anzi, semmai, è vero il contrario.
Nonostante l'enorme aumento nella prescrizione di antidepressivi negli ultimi dieci anni e mezzo, la prevalenza di episodi depressivi resta più alta di tutti i tempi. Se i farmaci avessero davvero funzionato così come vengono propagandati, questo non sarebbe il caso. Invece, i risultati suggeriscono:
- Gli individui che utilizzano farmaci antidepressivi tendono ad avere episodi di depressione maggiore più lunghi e più frequenti.
- I pazienti trattati con antidepressivi stanno peggio rispetto alle persone che non sono trattati ed hanno "significativamente meno probabilità di recupero (32,3% contro 51,4%) rispetto a quelli senza antidepressivi".
- L'uso a lungo termine di antidepressivi in realtà aumenta la vulnerabilità del paziente per ulteriori episodi di depressione.
Per dirla senza mezzi termini, i farmaci antidepressivi peggiorano la progressione della malattia che dovrebbero trattare.
In secondo luogo, lungi dal correggere gli squilibri chimici nel cervello, gli antidepressivi li creano. Sono una sostanza nociva estranea che viene direttamente introdotta nel proprio corpo. Il cervello non sa che gli antidepressivi "dovrebbero" essere di aiuto. Invece, quando li assumiamo, risponde come dovrebbe, trattando la loro presenza come una patologia.
Ecco come funziona: Gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) sono prescritti sulla (infondata) supposizione di rendere questa e altre sostanze neurochimiche (neurotrasmettitori ndr) disponibili nel cervello, in linea con la (smentita) convinzione che "la serotonina bassa causa la depressione."
Mentre sarebbe bello in teoria, questo in realtà non funziona nella vita reale, semplicemente perché il cervello risponde ai farmaci per proteggersi contro l'introduzione di un prodotto chimico tossico: Si spegne. Di conseguenza, invece di aumentare la serotonina nel cervello bloccando la sua rimozione, i farmaci antidepressivi causano l'opposto. Il corpo percepisce che c'è qualcosa di sbagliato con la serotonina nel cervello e perciò spegne la produzione di questo neurotrasmettitore. Cioè, il corpo produce meno serotonina se si viene esposti agli SSRI.
Naturalmente, fatti come questi sugli antidepressivi non sono quello che ci viene raccontato nella vita di ogni giorno nella retorica guidata dall'industria su internet, in televisione, negli annunci sulla stampa, o nelle campagne pubblicitarie dirette al medico medio. Solo perché qualcosa è pubblicato non significa che sia vero e questo non è certo più vero nel marketing degli antidepressivi.
Le abitudini di prescrizione dei medici si basano pesantemente su informazioni ricevute dagli studi. Il problema è che la stragrande maggioranza di questi studi, pubblicati come "fatti" in riviste mediche, sono gestiti interamente dalle case farmaceutiche, essenzialmente arbitrari, facilmente manipolati, e a tutti gli effetti, inaffidabili.
Consideriamo per esempio le sperimentazioni che hanno portato il Prozac sul mercato. I produttori del farmaco, la Eli Lilly & Co. hanno affermato che è stato dato questo farmaco a un gruppo tra i 6.000 - 11.000 pazienti durante il processo di approvazione. La recensione individuale di questi studi, tuttavia, in seguito ha determinato che solo 286 pazienti effettivamente avevano completato lo studio clinico di sei settimane che ha portato all'approvazione del farmaco.
Ancora più inquietante è il fatto che la depressione è stata effettivamente classificata come un effetto negativo frequente del farmaco per tutta la durata del suo processo di approvazione. Questo fatto è stato rimosso dall'etichetta del farmaco prima che venisse commercializzato; anzi, "depressione" è diventata da essere indicata come un effetto avverso frequente in etichetta alla proposta di essere totalmente taciuta nell'etichetta finale approvata.
Di conseguenza, quando un paziente diventa più depresso durante l'assunzione di un antidepressivo, più facilmente il medico aumenta la dose, piuttosto che interrompere o diminuire gradualmente il farmaco. Fu solo nel 2003 ben 17 anni dopo che sono stati introdotti, che i medici sono stati formalmente avvisati sugli antidepressivi SSRI che possono rendere i pazienti più depressi e peggiorare le loro condizioni generali. Purtroppo, l'informazione sta impiegando così tanto tempo per diffondersi, che la maggior parte rimangono abituati all'idea che gli antidepressivi non possono provocare tale reazione avversa, per non parlare di depressione.
Quando si rimuovono gli strati di clamore mediatico, ecco che emerge la verità sugli antidepressivi: Indipendentemente da quello che comunque conviene alle aziende farmaceutiche per convincere i medici e il pubblico, non c'è una sola prova conclusiva che la depressione è causata da un 'squilibrio biochimico nel cervello. "Nessun ricerca ha definitivamente dimostrato che gli individui con diagnosi di depressione soffrono di livelli anormalmente bassi di serotonina o norephinephrine, o qualsiasi squilibrio chimico di quelle sostanze. Noi non sappiamo nemmeno ancora che cosa sia la normale chimica nel cervello."
Senza questa conoscenza a monte, su quali basi qualcuno può dire che sanno ciò che costituisce un'anomalia?
Lo psichiatra americano Peter Breggin spiega:
"Il cervello vive in una delicata armonia con se stesso, un organo di una complessità ben oltre la nostra comprensione ed immaginazione corrente che fornisce la base biologica della nostra umanità. Esso contiene circa cento miliardi di neuroni .. Alcuni di questi singoli neuroni fanno diecimila o più connessioni individuali con altri neuroni. Questi neuroni e le loro connessioni sono attivate da un paio di centinaia di diversi neurotrasmettitori ... dei neurotrasmettitori che conosciamo meglio noi comunque ne sappiamo poco; della maggior parte degli altri non sappiamo nulla e non li abbiamo nemmeno ancora identificati ... La manomissione del cervello umano per influenzare le emozioni umane e le azioni non è una buona idea."
Infine, dal punto di vista da paziente a paziente, essendo stata sugli antidepressivi e sapendo cosa vuol dire venirne fuori, ecco il mio consiglio per te: Datti una possibilità. La paura dell'ignoto non è una buona ragione per evitare tutto ciò che potresti fare. Hai un medico di supporto disposto ad aiutarti ad ogni passo del cammino. Quindi datti una possibilità. Datti la possibilità di vivere. Datti la possibilità di guarire. Datti la possibilità di amare e di essere te stessa.
Indipendentemente da qualunque fattore causale provocato dai tuoi antidepressivi, in primo luogo, non vi è alcun bisogno di negare che la depressione porta ad un circolo vizioso di sensazioni fisiche ed emotive che causano sofferenza, inadeguatezza, angoscia e disperazione. Lo capisco, io ci sono passata e ancora a volte ci torno. Ci sono un sacco di cose diverse che possono portare ad attacchi di depressione: conflitti familiari, problemi sul lavoro, problemi di salute fisica cronici, eventi dell'infanzia e difficoltà finanziarie solo per citarne alcuni. Ma questi problemi di fondo che precipitano, ingrandiscono, e mantengono le crisi depressive non vengono risolti dal farmaco. Piuttosto che affrontare le origini psicosociali complesse, gli antidepressivi servono unicamente per appiattire la risposta emotiva. Questa non è una cura; è una lobotomia chimica.
Abraham Joshua Hershel una volta ha scritto:
"Costruisci una vita come se fosse un'opera d'arte.
Inizia a lavorare su questa grande opera d'arte chiamata esistenza."
Quando guardi la tela della tua vita, come scegli di dipingere? Vuoi i colori offuscati dagli antidepressivi, o brillanti con la ricchezza e la meraviglia di tutto ciò che si crea?
È la tua scelta. Quello che posso dire è che so quello che ho intrapreso. E davanti alla scelta tra prendere antidepressivi o smetterli, prenderei di nuovo la stessa decisione in un baleno.
La pace e la grazia siano con te,
Meaghan
Fonte: madinamerica.com
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