Ricordo una giovane psichiatra , molto carina fra l'altro, che durante un mio day hospital ove andai per un controllo dopo una crisi nell'estate 2000 mi disse: “Per essere più felici dovremmo essere meno intelligenti”.
In altre parole, le persone stupide sarebbero esenti dalla depressione, qui intesa non solo come momento acuto in cui è difficile riuscire a fare qualunque cosa per uscire dal buco nero in cui siamo piombati, ma anche come modalità di pensiero standard. In effetti, non sono il solo ad affermare qualcosa di simile: tanti pensatori ritenuti sensibili e intelligenti ammettono che la nostra società odierna è fortemente 'depressogena', perché promuove stili di vita che non appartengono più alla razza umana, ovvero non sono più umanamente tollerabili. Dalle performance richieste fin da piccoli, è uno stress continuo per cercare di avere sempre di più e quindi apparire il più possibile. Accumulare beni materiali e averne la disponibilità è l'obbiettivo primario nella vita di tutti. I media spingono continuamente a paragonare la felicità al raggiungimento di uno status sociale economico o al possesso di un bene materiale.
Essendo matematicamente impossibile accontentare ogni essere umano, dato che non c'è lavoro per tutti e chi possiede 100, 1000 volte di più degli altri si tiene ben stretti i suoi averi, si avrà un certa percentuale di individui che costantemente lotteranno intorno alla soglia della povertà e soffriranno per la mancanza di cose, opportunità di lavoro e avere alcuni desideri soddisfatti.
La mancata soddisfazione dei desideri è una delle cause storiche di sofferenza, insieme a quella di perdere qualcuno che si ama (lutto o abbandono) o dover stare accanto a chi si odia (es. mobbing , bullismo). Ma queste sono anche le principali cause della cosiddetta depressione. C'è pure chi afferma che ogni depressione nasconde sempre una causa fra queste, anche se io credo che vi possano essere anche dei casi in cui determinate condizioni organiche producono i sintomi della depressione clinica.
Insomma per farla breve , non dovrebbe sorprendere che persone dotate di sensibilità e intelligenza soffrano di tanto in tanto di depressione o che in certi periodi di tempo abbiano pensieri suicidi. Nella letteratura psichiatrica, avere pensieri suicidi è sintomo inconfutabile di depressione o comunque un periodo di grave crisi. Inoltre, si cerca di nascondere questi pensieri perché siamo sempre stati abituati a considerali un tabù, perciò vengono repressi e spesso più si cerca di reprimerli, maggiormente tornano alla ribalta diventando vere e proprie ossessioni.
La Suicidalità è una risposta molto umana al sentirsi intrappolati in quelle che sembrano essere circostanze impossibili. Aver paura di questi sentimenti o cercare di fermarli isola semplicemente la persona suicida ancora di più e rafforza la sua opinione che è senza speranza.
Perciò, l'opzione suicidio è solitamente contemplata quando ci si sente intrappolati e senza scampo, come chi ad esempio ha una malattia incurabile con prognosi mortale. Ma in alcuni casi invece può essere paradossalmente una ragione di vita, uno scopo pur non avendo , almeno apparentemente nessuna patologia fisica o mentale grave.
Non è la tristezza ma l'essere senza speranza , l'anticamera del suicidio.
Questo sembra essere il caso di Ciro Milani, un giovane suicida di 25 anni che annunciò il suo proposito 3 mesi prima in un blog su internet. Ricordo che mi interessai a questa persona e lessi tutto il suo blog prima che venisse cancellato, probabilmente su richiesta della famiglia. La cosa che mi colpì erano le sue argomentazioni, inoppugnabili con cui rispondeva pacatamente ad ogni insulto o supplica che le persone gli rivolgevano nei commenti del blog, per farlo desistere dai suoi propositi. C'erano quelli che non gli credevano, che lo insultavano, che di davano del megalomane, esibizionista, e quelli invece che erano perfettamente in sintonia con lui e l'ammiravano per la sua determinazione.
Ecco quello che scriveva a proposito dei suoi sentimenti , una volta pianificato l'atto.
C’è qualcosa di leggero, nel progettare il proprio suicidio.
Sapendo che la mia vita è a termine, che tutto quanto avrà una fine e che sarò io a decidere quando, tutti i problemi vengono ridimensionati.
I problemi economici per esempio: so per certo che le mie finanze saranno più che sufficienti per sostentarmi nei prossimi 3 mesi esatti che mi separano dalla partenza… quindi perché preoccuparmi se non lavoro?
La certezza della morte da anche un senso di impunità. Virtualmente, potrei commettere atti illegali… perché in ogni caso non arriverei mai al processo.
Cercherò di non approfittarmene.
La tensione di tutti i giorni, lo stress, i rospi da ingoiare diminuiscono: è ancora per poco. O riassumendo in una semplice frase: “Smetto quando voglio”.
Smetto quando voglio di vivere, smetto quando voglio di soffrire, smetto quando voglio di amare, smetto quando voglio di esistere.
Anche la salute assume un aspetto secondario. Potrei fumare tre pacchetti di sigarette al giorno: in tre mesi non farei in tempo a schiattare di tumore. Ammettendo per assurdo che sia una malattia virale, non potrei mai ammalarmi di AIDS! In tre mesi mica si sviluppa…
Considerando che il mio orizzonte temporale è di 90 giorni, e che dopo non ci sarà più nulla per me, tutto quello che necessita di più di 90 giorni di sviluppo per me non accadrà mai.
La mia vista non peggiorerà mai. Non mi ammalerò mai di tumore.
In un certo senso, la certezza delle fine è l’inizio dell’immortalità.
Tutto ciò è veramente triste, tuttavia vi è lucidità di pensiero nonostante tutto. Al giorno d'oggi numerosi sono i seguaci silenziosi di Ciro, quelli che lo prendono come esempio da imitare e quelli che sono perfettamente in sintonia con il suo pensiero ma non se la sentono di imitarlo, perché in fondo per compiere un gesto del genere serve una forte dose di coraggio.
Rispetto a molte storie che sento, io non ho mai attuato un tentativo di suicidio (TS). Anche se ho passato lunghi periodi con questo pensiero ricorrente, non l'ho mai messo in pratica né pianificato nei dettagli.
Perciò spesso tra il solo pensiero e la pianificazione o messa in opera c'è un abisso. Già fantasticare sul mio suicidio poteva essere per me motivo di sollievo in certi momenti particolarmente critici. Persone particolarmente a rischio sono quelle che hanno già avuto dei tentativi falliti alle spalle, da non confondersi però con quelli che attuano spesso dei tentativi incompleti e grossolani allo scopo di attirare attenzione su di sé o quelli che compiono azioni autolesive.
Ho scelto di vivere con i miei pensieri suicidi, a volte sto lavorando su di loro, a volte ne ho di meno. Non li vedo come un segno di malattia o di recidiva, ma come un messaggio. Ho un profondo impegno, un impegno spirituale, di non perdere la mia vita, ma non vedo i pensieri suicidi come un segno che qualcuno o qualcosa sta minacciando la mia vita.
Penso che sia importante credere in qualcosa di trascendente, avere un tipo di fede spirituale ma non di tipo punitivo. Quasi tutte le religioni condannano il suicidio, a meno che non sia un gesto nobile come quello di un martire che intenzionalmente sacrifica la propria vita per uno scopo più grande, oppure quando ci si trova nelle condizioni di scegliere tra la nostra sopravvivenza e quella di numerosi altri. Di gesta eroiche sono piene le pagine di storia, per non parlare delle persone votate alla morte per salvarne altre durante disastri e catastrofi naturali. E che dire poi del 'vento divino'? I piloti giapponesi della seconda guerra mondiale e i moderni Kamikaze di fede Islamica? anche se a noi occidentali ci ripugna il pensiero, così non è affatto per loro e per quelli che li incitano e li convincono con argomentazioni di fede. Nel Giappone feudale era pratica usuale fare Harakiri per seguire nella morte il proprio signore, ciò era considerato estremo segno di devozione. E le mogli indiane che dovevano seguire il destino dei loro mariti e gettarsi nelle fiamme della nella loro pira funebre?
Questo a indicare che storicamente il valore della vita umana per determinati individui è sempre stato relativamente basso e anche se oggi la vita è generalmente considerata sacra, in realtà molte cose fanno pensare il contrario, a cominciare dall'enfasi con cui tutti i media sono propensi ad informarci per la morte di un personaggio famoso o di un omicidio particolarmente efferato mentre dall'altra parte del mondo meno civilizzato si assiste impotenti alla morte per denutrizione, stupide guerre di potere e stupidità , di migliaia e migliaia di vite di serie B.
Che cosa mi rende diverso da queste vite? Chi mi da il diritto di affermare che la mia vita vale più di una di queste altre vite più sfortunate di me? Solo il fatto di risiedere in una cosiddetta civiltà evoluta?
E l'importanza della sacralità della vita? Quale sacralità se un bambino di 10 anni ha assistito mediamente a 8000 finti omicidi in TV e al cinema? Che idea ce ne potremmo fare, se abbiamo continuamente sotto gli occhi queste contraddizioni?
Poi ci si stupisce se la gente va fuori di testa, imbraccia un fucile mitragliatore e fa piazza pulita intorno a sé. Che tipo di educazione al rispetto della vita avranno avuto tali individui?
Ecco perché è importante avere un credo, una filosofia di vita che sia basata sul rispetto della dignità dell'esistenza umana e di tutte le creature viventi che popolano il nostro pianeta. Se poi non facciamo nostro profondamente questo credo, se non siamo coerenti con quello che si professa , allora pace, significa che la stupidità, la collera e l'animalità hanno preso il sopravvento, che ha vinto la natura oscurata sulla nostra natura illuminata.
Disperato bisogno di cambiare
Rinunciare alla vita, significa andare a lavorare la mattina, tornare a casa, sedersi davanti alla televisione, rimanere svegli fino a tardi a guardare David Letterman Show, svegliarsi, andare a lavorare la mattina. Questo è rinunciare alla vita.
Non esiste un' etichetta psichiatrica per questo. Si chiama essere "normale". Giusto?
I sentimenti suicidi sono un disperato bisogno di cambiamento. Hai avuto modo di fare un cambiamento nella tua vita e ne hai bisogno così disperatamente che tu non sei disposto a continuare a vivere così a meno che il cambiamento non avvenga.
Abbiamo un disperato bisogno di cambiamento, ma ci si sente totalmente impotenti davanti alla prospettiva che un vero cambiamento si verifichi. Così, quando ho questi sentimenti, è così che li vedo. Li considero come un messaggio. Mi chiedo, "che cosa è che ho bisogno di cambiare? Come posso ottenere un po' di potere per cambiare?"
E come se non bastasse, in rete girano svariati testi che mettono il dito sulla piaga, puntando sull'inutilità dell'esistenza, così come noi la concepiamo , la futilità dell'esistenza della persona media. Ormai non siamo più capaci di apprezzare il valore di un'esistenza ordinaria , ammesso che ci sia del valore lì dentro. Tutti i media spingono verso un paradigma dove la persona è al centro dell'attenzione , perché “io valgo.” Quindi mi merito il meglio di ogni cosa a cominciare dall'automobile e una comoda casa in cui stare. A patto che sia un consumatore, ovvero abbia la possibilità di acquistare beni. Chi non ha questa possibilità per i motivi più svariati, finanche ad essere un lavativo per natura, magari una persona che sogna di vivere di solo amore in un'isola deserta o come facevano i nativi delle isole Samoa nell' 800 e detesta le imposizioni del capo, gli orari, il fiato sul collo, il mobbing, lo stress infinito molto comune in tante situazioni lavorative, può pensare anche di essere dentro una sorta di trappola e considerare il suicidio come una valida opzione per uscirne.
Lo stesso pensiero può venire a chi come Ciro, non ha particolari ambizioni o aspettative per il futuro e si trascina per anni ed anni a sopravvivere precariamente e con pochissimi momenti di gioia o tranquillità a fronte di una vita piena di giorni vuoti, insignificanti , di rabbia, noia e apatia.
Quindi la molla che spinge al gesto estremo può scattare in modo improvviso e inaspettato, per esempio in un momento particolare di disperazione, magari sotto l'effetto di qualche farmaco appropriato , come gli antidepressivi SSRI, oppure nel bel mezzo di una forte crisi di Acatisia (estrema agitazione interiore) caratteristica dei neurolettici o ancora a causa di una dismissione troppo rapida di psicofarmaci. Questa situazione è assi diversa dalla meticolosa pianificazione anno dopo anno con un desiderio sempre crescente di farla finita. Anche se poi, dal punto di vista di chi rimane intorno al malcapitato il risultato è lo stesso: sentimenti infiniti di disperazione, sensi di colpa e vergogna.
In conclusione, vorrei sottolineare che alla fine i pensieri e sentimenti suicidi non necessariamente sono sintomo di una patologia mentale, ma piuttosto di una opzione ben ponderata in determinate circostanze, anche se non auspicabile. Ne consegue che non bisogna farne un tabù ma piuttosto cercare di esternarli parlandone liberamente con qualcuno di nostra fiducia (possibilmente non un psichiatra o un medico). In questo modo avremo la possibilità di vedere aspetti che non avevamo preso in considerazione perché magari ci fissavamo ostinatamente su un solo aspetto (per esempio quello economico).
Personalmente ho affrontato i miei pensieri suicidi in modo alquanto singolare:
Se consideriamo che la sopravvivenza può essere definita un vero miracolo di fronte alle migliaia di minacce che abbiamo intorno fin da piccoli, dalle malattie dovute al nostro stile di vita malsano, ai pericoli insiti nell'ambiente in cui viviamo dall'aria che respiriamo, alle medicine e al cibo che mangiamo, all'acqua che beviamo ecc ecc., mi sono ripromesso di mantenere uno stile di vita sano, per quanto possibile, ovvero di non sgarrare o darmi alle droghe e simili, rinunciando però ad ogni medicina per eventuali malattie croniche mi potessero capitare. Questo è il mio patto con la nera signora con la falce. Un altro patto più scellerato poteva essere il contrario, ovvero condurre una vita più dissoluta possibile: droga, farmaci, alcool, rock & roll … si ottiene forse un migliore risultato ma al prezzo di sacrificare troppo il corpo. Il mio corpo preferisco rispettarlo, anche con i pensieri distruttivi. Questione di gusti.
Se stai contemplando il suicidio, il mio consiglio è andare avanti e ucciderti. Ma non lo fare con una corda, una pistola, un coltello o una manciata di pillole. Non farlo distruggendo il tuo corpo. Fallo tagliando la tua vita precedente e andando in una nuova direzione, completamente. So che non è facile. So che potrebbe anche sembrare impossibile. Se mi avresti chiesto prima di quel giorno di primavera del 1992 avrei detto che era assolutamente impossibile per me fare una delle cose che ho fatto da quel giorno. Brad Warner