giovedì 20 ottobre 2011

Farmacrazia

In un articolo pubblicato da medicitalia.it si legge di un rapporto di uno studio che stabilisce al 38% l'incidenza dei disturbi mentali nella popolazione europea: + 40% dal 2005. “Ci stimo avvicinando a grandi passi verso una medicalizzazione totale”, afferma lo psichiatra americano Allen Frances.

Attualmente circa la metà della popolazione da 6 anni in su, risulta affetta da una malattia cronica che dovrà essere curata con farmaci specifici vita natural durante. Una persona su due sono già un mercato molto allettante ma evidentemente non basta ancora. Il nuovo manuale diagnostico in lavorazione, il DSM V aggiunge altre nuove patologie psichiatriche per allargare ulteriormente il mercato. Tuttavia emergono molte critiche, specialmente da quei medici che si stanno accorgendo come le prescrizioni di psicofarmaci siano ormai diventando una norma, ancor prima di indagare (non senza fatica) su possibili cause organiche , condizione di salute generale, intossicazione ecc.
Meglio quindi liquidare subito il paziente, dopo 15 minuti , mezz'ora di colloquio con la sua brava ricetta in mano.

Questa pratica degrada sia il medico, che si vede ridotto a pusher autorizzato e ancora di più il paziente al quale viene fornita senza tanti preamboli una prospettiva di sofferenza senza fine. Certo, gli viene detto che curandosi riuscirà a stare bene anche a lungo se segue scrupolosamente le istruzioni. Egli osserva dall'esterno i suoi pazienti ed ha già stabilito il suo criterio di salute mentale: i suoi pazienti stanno bene se non hanno crisi. Non importa se sviluppano altre patologie in seguito alle cure, se hanno ulteriori problemi fisici, se aumentano di peso in modo abnorme, se perdono la vitalità . la concentrazione , la memoria , il desiderio e la sensibilità verso le emozioni. Quello che conta è la vittoria sui singoli sintomi della malattia , del marchio indelebile di cui il paziente è portatore cronico.

Un'amica mi raccontò cosa gli disse il suo psichiatra, quando gli fece una domanda sul farmaco che prendeva, se poteva avere effetti spiacevoli sui suoi reni già malandati. Gli disse semplicemente : “Ti preoccupano più i tuoi reni o la follia?” U altro più cauto avrebbe risposto come ci si aspetterebbe, cioè consigliare un farmaco più tollerato dai reni.
“Meglio sovrappeso e diabetici che psicotici!”, questo è il ragionamento che normalmente fanno.
Perché in fondo sanno che questi rimedi non sono proprio caramelle, ma davanti alla prospettiva della follia diventa tutto lecito, anche rinnegare il proprio giuramento “Primo non nuocere”.
E comunque sempre meglio la contenzione, il TSO e le iniezioni forzate rispetto al rogo, la deportazione , il coma insulinico e la lobotomia del passato. Si può dire di essere in un certo senso fortunati, come pazienti/utenti psichiatrici a vivere in questa epoca.
Pure molti medici cosiddetti olistici, davanti alla malattia mentale si tirano indietro, consigliano il parere di uno psichiatra con la scusa: “Esistono malattie che richiedono inevitabilmente psicofarmaci”.
Il movimento dei sopravvissuti/utenti psichiatrici è anch'esso diviso tra chi proclama la necessità dei farmaci e chi li evita e sconsiglia.

A questo punto ai pazienti non rimane altro che subire , oppure diventare esperti loro stessi della propria salute mentale, studiare le caratteristiche dei farmaci e eventuali rimedi alternativi, leggendo esperienze di altri nelle stesse condizioni che ne sono usciti ecc.. in altre parole : “Dovete capire da voi se i farmaci sono parte della soluzione o piuttosto parte del problema” come diceva Judi Chamberlin.
In base a questo decidere cosa è meglio per noi: accettare di intossicarci a vita, consci delle difficoltà oppure scegliere la via della libertà, consapevoli delle enormi capacità di guarigione del nostro corpo. Una via anch'essa non certo priva di ostacoli ma possibile.
In gran parte questa consapevolezza viene negata dalla diagnosi in poi, le persone accettano loro malgrado questa pesante sentenza, rincuorate dalla certezza di avere a che fare con una subdola malattia 'curabile' proprio come il diabete.

Ci sono innumerevoli cause organiche nelle quali sono state individuate relazioni con sintomi mentali, ma queste relazioni non vengono quasi mai prese in seria considerazione.
In caso di psicosi, la cosa più urgente da fare è somministrare veleni tossici per attutire i sintomi, segnando già chimicamente i malcapitati/e per il resto della loro vita.
Se si ha fortuna e se la terapia ha un termine, può darsi che l'episodio non si ripresenti in futuro, però gran parte delle persone restano intrappolate a vita in questa morsa.
Più andiamo avanti con l'assunzione di queste sostanze, più difficile sarà la loro dismissione fino a diventare praticamente impossibile liberarsene. Anche per questo motivo molti scelgono di rimanere sui loro farmaci pur consapevoli dei danni fisici e psichici che inevitabilmente subiscono.

A chi mi chiede perché mi accanisco sempre contro i farmaci rispondo che:
intanto ciascuno dovrebbe essere libero di scegliere cosa è meglio per sé, che questo ci viene negato dalla coercizione e dal lavaggio del cervello che ci fanno per convincerci della bontà delle loro cure.
Allo stesso tempo ci nascondono astutamente possibili rimedi alternativi per ragioni di convenienza pratica, marketing e ignoranza. Quei rimedi adottati da tutte quelle persone che hanno sperimentato e stanno sperimentando la remissione dalla malattia mentale senza usare droghe di sintesi.
Libertà non significa far finta di non avere un problema, ignorare i sintomi, soffrire gratuitamente per gusto sadico. Significa piuttosto libertà di conoscenza , di scelta ragionata e consapevole.
In definitiva si tratta di scegliere tra la violenza e la compassione verso noi stessi. La scelta farmacologica è un atto di violenza verso il nostro corpo per stare bene, quando si può stare bene lo stesso  senza bisogno di avvelenarci. Questo lo sanno gli animali allo stato libero, lo sapevano gli umani da millenni ma noi a quanto pare siamo così evoluti che ce ne siamo dimenticati.

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