sabato 26 aprile 2014

Farsi del male, perché?

Oggi vorrei parlare di un altro 'tabù' della psichiatria, insieme al suicidio, quei tipi di comportamenti che è meglio non dire, meglio  nascondere perché provocano imbarazzo, vergogna e altri simili sentimenti negativi. 
Sebbene io abbia talvolta  contemplato il suicidio e non mi vergogno ad ammetterlo, anche se poi non l'ho mai pianificato e tentato davvero, quello che stento molto a comprendere sono i comportamenti autolesivi. Nonostante che abbia sperimentato stati di dolore emotivo, presumo sufficientemente profondi, ovvero quelle sensazioni dove sei in condizioni tali da non sapere dove andare a sbattere la testa, da non sopportare di essere vivo e sveglio, dove il dolore si placa solo durante il sonno per un tempo infinitesimale rispetto all'eternità che ci aspetta nella veglia, non riesco ancora a capire come diventi spesso necessario arrivare a farsi del male, cioè aggiungere intenso dolore fisico  per alleviare questo dolore emotivo. 
Forse i miei stati cosidetti 'down' non hanno mai avuto quella componente ansiosa di cui spesso sento parlare, oppure problemi di insonnia tali che possono portare a quello stato alterato di coscienza chiamato psicosi, per poi prendere la piega di una sorta di bad-trip, un viaggio allucinante nel regno del terrore. 

Dato quindi che non ho esperienza diretta di autolesionismo, cercherò di farmi un'idea basandomi su ciò che scrivono altri, direttamente coinvolti con questo problema. 

Intanto occorre dire che secondo una ricerca presentata recentemente presso l'Università di Lund in Svezia i giovani che intenzionalmente danneggiano se stessi non stanno  necessariamente dimostrando segni di malattia mentale. 
Perciò, contrariamente a quello che potrebbe dire uno psichiatra, solo una minima parte di quelli che manifestano tali 'impulsi' li mantengono a lungo nel tempo e sarebbero quindi affetti, sempre secondo la psichiatria,  da una sorta di malattia mentale.

Storicamente questo tpo di comportamenti erano legati a sentimenti religiosi di punizione e mortificazione della carne,  visti come azioni coraggiose compiute da individui  molto devoti. 
Oggigiorno questo tipo di azioni torna in auge per vie diverse, una di queste è ad esempio la tendenza chiamata 'Emo', che pare derivi da una branchia del punk che si è sviluppata negli anni 80 e che riguarda oggi i giovani nella fascia di età adolescenziale dai 13 ai 20 anni. Gli 'emo' si distinguono più che per il look dark e il trucco pesante,  proprio per questo modo di essere, che nella psichiatria ortodossa viene indentificato ed etichettato con diagnosi tipo 'borderline' e bipolare II. Inutile dire che questa specie di moda è fonte di grande preoccupazione per i genitori  di questi adolescenti che come molti loro coetanei non riescono ad integrarsi in una società profondamente malata.  
E mentre una volta i giovani 'ribelli' si davano alle droghe di svago più o meno leggere sognando Woodstock, oggi è preferibile darsi agli antidepressivi e simili droghe legali, sempre naturalmente ben condite con l'immancabile alcool.  
Mi viene in mente che la filosofia di questi giovani in definitiva potrebbe essere abbastanza semplice: dato che si deve star male comunque, poiché non è possibile cambiare il mondo, allora facciamo del nostro star male una condizione desiderabile, una moda, fino a spingere al massimo il desiderio di annullamento. 
Tuttavia va detto anche che chi tende a comportamenti autolesivi lo fa anche per evitare in tal modo il gesto più estremo di annullamento cioè il suicidio. 
Quindi sembra che il comportamento autolesivo non sia un'anticamera del suicidio, anzi pare che sia proprio un modo, un 'diversivo' per evitare il gesto estremo. 

Pare che ci siano studi che dimostrano che costringere qualcuno a smettere di auto-lesionarsi aumenta il rischio di suicidio, non il contrario.
Ma leggiamo le parole dei diretti interessati: 

"A volte mi sono sentita come se galleggiassi sopra me stessa e a tutto ciò che accade nella mia vita, e io non sono proprio sicura di come tornare nuovamente dentro il mio corpo. Durante quei momenti, farmi del male mi ha aiutato a tornare con i piedi per terra. A volte, sento un dolore emotivo così profondo che sale nel petto e diventa così grande che io non so che altro fare. Farmi male mi ha dato qualche volta un po 'di capacità di liberare e controllare il dolore in un mondo che altrimenti può rivelarsi abbastanza caotico."

"galleggiare sopra se stessi" sembra che qui si parli di uno stato non ordinario di coscienza o stato psicotico. C'è chi afferma che tale stato sia una sorta di auto-protezione del corpo che mette in atto queste difese quando il dolore diventa insopportabile. Cioè esistono situazioni tali per cui il cervello (o il corpo) produce  da sè quelle sostanze nella forma di endorfine, che funzionano da calmanti o antidolorifici. 
Si è riscontrato anche che le persone in determinati stati alterati diventano insensibili al dolore fisico. 


"Sono abbastanza sicura che una bruciatura sul braccio implica in realtà molto meno rischio per la mia vita e il benessere rispetto alle molteplici varietà di modi che persone là fuori  danneggiano se stessi ogni giorno."

Qui mi trova un po' preplesso; effettivamente di una bruciatura qualcosa rimane, almeno una cicatrice per tutta la vita. Io ho conosciuto una donna che aveva una discreta collezione di cicatrici da bruciatura nelle braccia ed in estate era piuttosto imbarazzante mostrarle in giro. Tuttavia se lo paragoniamo ad altri modi o strategie atte a sopportare l'angoscia di vivere come ad esempio il bere smodatamente o farsi di droghe pesanti, allora una bruciatura su un braccio diventa effettivamente un rischio minore per la propria vita.   

"Invece di ospedalizzarmi, se solo qualcuno in quel momento della mia vita fosse stato disposto a sedersi accanto a  me nel dolore e farmi domande per capire ... Se solo avessero fatto spazio per me, per parlare del perché mi faceva così tanto male... Se solo si fossero chiesti ad alta voce quale impatto nella mia vita avrebbero avuto il mio tagliarmi e le bruciature.."

Adesso, sembra che la risposta ad un disparato bisogno di aiuto non possa essere altro che il ricovero nel reparto psichiatrico,  senza considerare la possibilità di altre opzioni, meno 'traumatiche'. 
Io purtroppo ho avuto l'esperienza di essere ricoverato in un simile reparto, ed ho visto diversi casi di persone ricoverate li dentro volontariamente a seguito di una grave crisi depressiva e anche di tentativi di suicidio o gravi gesti autolesivi. Mi ricordo sempre un giovane ragazzo apparentemente tranquillo,  di buona famiglia educato e gentile che mi disse di avere tentato l'auto-evirazione con un paio di forbici.
Gran parte di queste persone passano la vita ad entrare e uscire dal reparto perché in effetti non ricevono alcun tipo di risposta ai loro problemi di base se non quella di venire imbottiti di psicofarmaci fino allo stordimento. Dal momento che entrano in  reparto, può trascorre diverso tempo, senza che nessuno si prenda la briga di 'sedersi accanto' e fare domande tranne forse gli altri utenti ricoverati o qualche infermiere mosso a compassione. 
Mi ricordo sempre di un piccolo episodio: una giovane donna in preda a una crisi di disperazione, non smetteva di piangere, urlare, battere pugni contro le pareti e strapparsi i capelli.
Continuava così da un bel po di tempo senza che nessuno degli addetti muovesse un dito, nessuna parola da questi, che fosse di conforto o di rimprovero pareva avere alcun effetto su di lei.   
Così mi venne in mente in un modo molto spontaneo di abbracciarla e accarezzarla come fosse una bimba piccola, come se fosse stata mia figlia. 
Sorprendentemente si acquietò subito; io senza avere alcuna preparazione professionale feci ciò che umanamente veniva spontaneo da me. Successivamente, questa ragazza mi lasciò uno scritto sul mio pc portatile (che incredibilmente mi facevano usare) per ringraziarmi di quello che avevo fatto.  Ora non dico che quello che ho fatto quella volta, funzioni allo stesso modo e sia efficace in tutte le occasioni di questo tipo, tuttavia in quel particolare momento funzionò e quella non fu la sola volta che fui capace di una cosa del genere, vi era stato un precedente simile che funzionò nella sorpresa generale degli addetti 'professionali'. 

La straordinaria varietà delle condizioni umane non finisce mai di sorprendermi. Per quanto, insolite,  terribili o bizzarre siano, sono convinto che tutte le esperienze 'estreme'  hanno la loro chiave di accesso. Cioè che sia possibile trovare un approccio 'olistico' dolce, non traumatico, per ristabilire la calma e la tranquillità , il che non significa necessariamente ristabilire la 'ragione' o la presunta sanità mentale.
Per fare un esempio, supponiamo una persona in preda al terrore che si sente minacciata dagli alieni. Per quanto si tenti di spiegare razionalmente che le sue paure sono infondate, ella diventa sempre più convinta che gli alieni hanno preso la forma umana dei familiari, degli amici fino al personale del reparto. Un modo per aiutare questa persona potrebbe essere  quello di trovare dei punti a favore della sua storia, sedersi accanto e con spirito di collaborazione, cercare per esempio casi simili su internet, persone che hanno avuto esperienze di persecuzioni da esseri alieni e le strategie che hanno attuato per affrontare il problema. 
Dalle esperienze di cui si legge o si sente parlare, a volte la cosa migliore implica il 'fare' meno possibile, dove agire significa in questo contesto costringere a fare qualcosa, anche contro l'altrui volontà. Lasciare invece per quanto possibile la massima libertà. Ovvio che questo non significa che la gente si debba poter  tagliare, bruciare e mutilare a piacimento. 
Nel caso di tendenze autolesive, si potrebbe  intervenire preventivamente con l'aiuto di qualcuno che ha già attraversato e fatto fronte a esperienze di questo tipo, ed ha escogitato metodi di riduzione del danno e simili strategie magari per riuscire a distrarsi o incanalare l'energia negativa in altro modo non distruttivo. 

Sono convinto che molto si potrebbe fare se solo si uscisse una volta per tutte dal paradigma  delle diagnosi, della malattia mentale , del DSM e le appropriate 'terapie' chimiche, che considerano questi esseri umani al pari di macchine difettose, ignorando completamente la loro storia personale e il contesto sociale.
Psichatri illuminati come Loren Mosher, R.D.Laing, il dott. Giorgio Antonucci, Mariano Loiacono, Abram Hoffer, ecc. Esperienze e studi come le case Soteria, il dialogo aperto in Finlandia, l'ECPR, i santuari per l'accoglienza,  ci hanno indicato che una  strada alternativa è possibile, peccato che nessuno guardi a queste vie in nome di una consuetudine basata sul profitto e falsa scienza che non solo calpesta ogni diritto e dignità umana, ma peggiora e rende cronici problemi altrimenti temporanei e risolvibili.


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